XIlella Fastidiosa, origine o sintomo di una delle più gravi crisi del sistema agricolo italiano. 5 anni di battaglie anche giudiziarie e diatribe ancora in cerca di soluzioni. Cronistoria, analisi ed evidenza di una soluzione che proviene dalla ricerca scientifica Made in Italy, già sperimentata con successo ma ancora sottovalutata. In ottica di conservazione degli ulivi e ripristino degli ecosistemi depressi.
Olivicoltori pugliesi, 5 anni di battaglie
Febbraio 2019 verrà ricordato dalle comunità agricole in Italia per la crisi del latte ovino in Sardegna, ma anche per la quella degli olivicoltori in Puglia. I ‘gilet arancioni’ provano da mesi a richiamare l’attenzione sulle disgrazie che li affliggono, Xylella Fastidiosa e mancati rimborsi per le gelate del febbraio 2018. Oltre all’inefficienza, ça va sans dir, del Piano di Sviluppo Rurale (PSR).
La battaglia degli olivicoltori pugliesi prosegue senza tregua dall’ottobre 2013, quando il Servizio Fitosanitario Regionale venne informato della probabile presenza di Xylella Fastidiosa su alcune piante d’ulivo nei pressi di Gallipoli (Le). La regione Puglia adottò subito i primi provvedimenti, per cercare di eradicare il patogeno o quantomeno arginarne la diffusione. Il territorio contagiato venne suddiviso in zone, fissando un calendario di interventi per la gestione di piante e terreni in ragione della vicinanza ai focolai. (1)
Il ministro Gian Marco Centinaio, con decreto 14.2.19, ha adottato il ‘Piano di intervento per il rilancio del settore agricolo e agroalimentare nei territori colpiti da Xylella’. Con uno stanziamento complessivo di 100,65 milioni di euro (48,05 dal MiPAAFT, 52,60 dalla Regione) per compensare, almeno in parte, i danni causati dalla fitopatia che sta danneggiando gli ulivi. In aggiunta ai 30 milioni di euro assegnati dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), il 9.2.19, al nuovo ‘Piano di emergenza per il contenimento della Xylella Fastidiosa’. (2)
Xylella Fastidiosa, il sintomo della crisi
Xylella Fastidiosa è un batterio gram-negativo asporigeno che colonizza i vasi xilematici delle piante e li occlude, impedendo alla linfa di raggiungere ogni parte del vegetale. I sintomi sono spesso simili a quelli che derivano dallo stress idrico (bruscature fogliari, disseccamenti di rami e porzioni della chioma). E non è facile identificarli alla prima infezione, poiché si manifestano anche dopo un anno.
La pianta prosegue il suo ciclo biologico e produce frutti sani (sebbene in quantità minore), fino a quando il batterio non raggiunge le radici, le impedisce di assorbire i nutrienti e così la conduce alla morte. Il batterio ha diverse sub-specie (il ceppo ST53, in Puglia) e si diffonde attraverso diversi vettori. Come la Sputacchina Media, Philaenus Spumarius, che si nutre delle tenere foglie dell’olivo e propaga il batterio su altre piante.
La sputacchina può percorrere anche 100 metri la settimana e così diffondere il patogeno con potenziale rapidità (anche a causa di possibili tragitti passivi, tramite automezzi e vento). Proprio perciò sarebbe stato utile un intervento rapido e incisivo, che tuttavia ha subito rallentamenti a causa di incertezze scientifiche sul ceppo batterico e conseguenti diatribe. (3)
La patogenicità del batterioviene a tutt’oggi messa in dubbio da alcune parti, sebbene la comunità scientifica ne abbia esibito prova tramite dimostrazione dei c.d. postulati di Koch. Alcuni infatti considerano l’impoverimento dei suoli dovuto al massiccio impiego di pesticidi e diserbanti (piuttosto che la presenza di funghi del legno e del lepidottero Zeuzera Pyrina), quale prima causa delle fitopatie.
Xylella, il dibattito italo-europeo
Le posizioni discordanti hanno raccolto i consensi di associazioni e politici interessati a tutelare gli olivicoltori (o più verosimilmente i propri voti e favori), a fronte della prospettiva più drastica, l’eradicazione degli olivi. Immancabilmente è sopraggiunta la teoria del complotto, col risultato che la gran parte degli olivicoltori si è sentita ‘al sicuro’ senza bisogno di fare alcunché per provare ad arginare il contagio né per salvare le proprie piante.
La Commissione europea è intervenuta con due successivi provvedimenti:
– nel 2014 Bruxelles ha vietato ‘lo spostamento di piante destinate alla piantagione in uscita dalla provincia di Lecce, regione Puglia, Italia’. Ordinando ispezioni annuali ufficiali per accertare la presenza del batterio Xylella e ingiungendo agli Stati membri di provvedere alla raccolta di segnalazioni sui territori a rischio,
– nel 2015 ha poi ordinato la misura più drastica, l’eradicazione. Da estendersi a tutte le piante potenzialmente ospiti del batterio nel raggio di 100 m dall’olivo infetto, a prescindere dal loro stato di salute apparente. (4)
Nel 2016 la Corte di Giustizia UE ha posto fine a tre anni di dibattiti. Affermando che l’obbligo di eradicazione risulta ‘appropriato e necessario’ per garantire un elevato livello di protezione fitosanitaria nell’Unione Europea. (5) Tenuto conto delle valutazioni scientifiche espresse dell’Efsa, secondo cui non esiste cura alla fitopatia. Sebbene ‘è possibile che dei cambiamenti apportati ai sistemi di coltura (ad esempio potatura, fertilizzazione e irrigazione) abbiano un certo impatto sulla malattia, ma ciò in genere non è sufficiente per curare le piante’. (6)
Nel 2017 i Tar Lazio e Puglia hanno perciò respinto gli innumerevoli ricorsi amministrativi contro le ordinanze di estirpazione di alberi infetti, affermando la priorità d’interesse alla salvaguardia della salute delle piante e il dovere di applicare il principio di precauzione.
A gennaio 2019 la Procura di Bari ha disposto il sequestro di un olivo infetto rinvenuto a Monopoli. Raccogliendo le dure critiche dei portavoce dei ‘gilet arancioni’ e di Confagricoltura, i quali invece invocano il via libera alle eradicazioni di ogni pianta che risulti positiva alle analisi. Già nel 2015 la Procura di Lecce ottenne il sequestro preventivo di alcune piante, mettendo sotto accusa il Commissario Giuseppe Silletti (delegato per la gestione dell’emergenza Xylella) e altri 9 esperti.
Xylella, il batterio viaggiatore
La fitopatia avanza verso Nord, ove la Regione Puglia via via ridefinisce i confini delle aree ‘delimitate’ (zone infette e zone cuscinetto). Dal 2013 a oggi l’area interessata si è estesa da 8 mila ettari (nella sola provincia di Lecce) a 715 mila ettari. Le intere province di Lecce e Brindisi, buona parte di quella di Taranto e alcuni Comuni nel barese. Il 36% della Regione, circa 21 milioni di alberi (su un totale di 60).
Un terzo dell’olio d’oliva italiano è prodotto in Puglia (40-45% extravergine, 30-35% vergine, 25-30% lampante), ove la produzione olivicola esprime il 15% in valore della produzione agricola regionale. La fitopatia avrebbe contribuito alla cessazione di attività di circa 400 frantoi, negli ultimi 5 anni. Il decreto Centinaio verrà ora attuato mediante assegnazione di ruoli e responsabilità, semplificazione degli iter di eradicazione e incentivo ai reimpianti di cultivar che tollerano il batterio (es. Leccino, Favolosa FS17).
Altri focolai di sub-specie diverse sono però già stati segnalati in Spagna, oltreché in Francia. Arginare la propagazione del batterio appare dunque velleitario, se non del tutto utopistico. Senza perdere la speranza, bisogna piuttosto stimolare la resilienza di quelle stesse piante che già ora nutrono l’economia dei due primi produttori mondiali di olio d’oliva, Spagna e Italia appunto. Rispettandone i cultivar originari, magari anche.
Ulivi in Salento, il problema di fondo
L’ulivo in Salento è una coltura di tradizione povera, con infime marginalità, storicamente destinata a produrre olio da lampada (lampante, infatti). Il risparmio sulla conduzione è sempre stato un imperativo, al punto che le olive venivano raccolte dalle reti gettate a terra e portate al frantoio dopo diversi giorni, senza fretta né cura dell’ossidazione dei drupi.
La terra però veniva lavorata, almeno sotto le piante. Fino a quando il diserbo chimico sistematico non ha preso il sopravvento sul lavoro umano. (7) Col risultato di azzerare la sostanza organica nei suoli. Gli olivicoltori credevano di risparmiare (più la terra era dura, tanto meglio si lavorava) e hanno invece causato la pre-desertificazione dei terreni (al di sotto dei quali spesso si trova roccia calcarea). Stress idrico e sistemico.
La biologa e fitopatologa Margherita D’Amico, responsabile del progetto ‘Sistemi di lotta ecocompatibili contro il Codiro’, ha rilevato come proprio nel Salento le specie vegetali dominanti siano quelle resistenti al glifosate. Proponendo perciò di verificare se e in quale misura l’erbicida ad ampio spettro abbia afflitto le radici, che negli ulivi malati del Salento sono spesso risultate marce.
Le ricerche scientifiche condotte in Puglia a seguito dell’emergenza, secondo la ricercatrice, non hanno mai considerato l’apparato radicale. Sebbene gli studi internazionali condotti sul batterio, già dal 2004, abbiamo mostrato il deterioramento dello xylema degli alberi. Vale a dire il tessuto delle piante vascolari, dalle radici alle foglie, adibito alla conduzione della linfa grezza (cioè dell’acqua e dei soluti in essa disciolti).
Lo studio sugli uliveti condotto dall’Università della Basilicata nell’arco di 15 anni evidenzia a sua volta la necessità di analisi sui terreni e le radici (dei vegetali infettati dal batterio come di quelli esposti ai relativi rischi, ai fini di una diagnosi esatta dei problemi da affrontare. Laddove la carenza di sostanze organiche già di per sé costituisce premessa di svariate patologie e improduttività, rispetto alle quali è indispensabile un intervento di ripristino degli equilibri perduti. (8)
Micorrize, la soluzione Made in Italy a portata di mano
‘Biodiversità di un suolo agrario, Xylella causa o conseguenza?’ Giusto Giovannetti – geniale biologo del Centro Colture Sperimentali (CCS) di Aosta, che chi scrive ha avuto onore di conoscere già in tempi lontani – lavora da decenni sui batteri microbici per promuovere salute, resilienza e crescita delle piante. Le comunità microbiche intervengono infatti sulla rizosfera (dal greco rhìza, radice e sphàira, sfera), cioè la porzione di suolo attorno alle radici da cui le piante assorbono i nutrienti e l’acqua necessaria per crescere. Attraverso le micorrize.
Le micorrize (dal greco mikos, fungo e rhìza, radice) sono associazioni simbiotiche tra funghi del terreno e radici non lignificate delle piante. La pianta ospite cede al fungo materie organiche (zuccheri, proteine, vitamine) e ottiene un migliore assorbimento degli elementi nutritivi. Dove si sviluppano micorrize (come in natura, in prossimità del 90% degli alberi nei boschi) le piante sono più sane, vigorose e meno soggette agli stress ambientali. (9)
La sperimentazione condotta su 1350 ulivi a Presicce (LE) con un gruppo di agricoltori di ‘Salento Sostenibile’ si è basata su un intervento di recupero del patrimonio microbico dei terreni, mediante inoculazione di una concentrazione elevata di bioti microbici. Si è così riattivata la funzione metabolica degli ulivi, con risultati più che positivi. Dopo i trattamenti si sono infatti evidenziati ricacci sulle branche principali e secondarie, oltre a succhioni basali anche su tratti già secchi.
Il cocktail di microbiota utilizzato è prodotto da CCS in Valle D’aosta da diversi decenni e viene regolarmente utilizzato per migliorare la salute dei suoli. L’apparato vascolare della pianta è a sua volta ricco di biota, che viene appunto assorbito dal suolo in buona salute. I microorganismi, da milioni di anni, sono parte viva delle piante e degli animali e attivano quindi una sorta di ‘epidemia positiva’. Il ‘super-organismo’ tende a recuperare le funzionalità indebolite da condizioni di stress grazie al riequilibrio dell’attività simbiotica. Con un intervento per certi versi analogo a quello che può realizzarsi con i prebiotici sul microbioma umano.
Conclusioni. Crisi di sistema o di cervelli?
Dalla metà del XX secolo i microorganismi (considerati patogeni) sono stati considerati nemici. E appariva ragionevole, a quel tempo, programmarne l’eliminazione. L’errore che tuttavia si ripete – e non è più giustificabile, allo stato attuale della ricerca – è invece quello di continuare a distruggere microorganismi indispensabili, col pretesto di distruggere quelli nocivi. Tale approccio è già in corso di revisione nella medicina, ove i probiotici spesso risultano più efficaci degli antibiotici, sui quali è maturata diffusa resistenza. Ed è ora che venga riconsiderato anche in agronomia.
‘Per combattere il batterio è necessario guardare all’oliveto nel suo insieme e migliorarne il «sistema immunitario», adottando pratiche agronomiche sostenibili che aumentino le capacità delle piante a contrastare gli stress biotici e abiotici. Così facendo è possibile convivere con il batterio limitandone la diffusione e recuperando le piante infette’. (10)
L’eradicazione di milioni di ulivi – oggi in Puglia, domani chissà – gioverà nel breve termine all’economia dei comparti interessati. Non v’è dunque da stupirsi se gli avvoltoi finanziati dai monopoli delle sementi e dei pesticidi inneggino ai finanziamenti a pioggia, per devastare e ricostruire. Rimane da chiedersi se sia giusto, per noi e per i nostri figli, ostinarsi a distruggere l’habitat e i suoi unici paesaggi. Anziché curare l’ecosistema e la biodiversità, sviluppando un’economia sana e libera da semi standardizzati, diserbanti e pesticidi.