C’è un po’ di confusione, in Medio Oriente, ed è difficile capire realmente quello che sta succedendo.
Prendiamo il Qatar, un piccolo Paese per territorio, capitale Doha, con quasi due milioni di abitanti, in gran parte stranieri (Indiani, Malesi, Bengalesi, Cinesi), ma potente per risorse finanziarie e minerarie (gas e petrolio), a larghissima maggioranza sunnita, che notoriamente, da anni, finanzia il terrorismo dell’ISIS e del Califfato, così come l’Arabia Saudita ha finanziato e, forse, finanzia tuttora, Al-Qaeda (Bin Laden era un saudiano).
Il Qatar, però è un Paese molto importante tra quelli del Golfo, e sta cercando di soppiantare l’influenza saudiana in tutta la regione, anche perché ha in mano diversi atout. In Qatar c’è Al-Jazeera, la migliore emittente televisiva araba, che trasmette in arabo e in inglese, ed è il punto di riferimento, piuttosto indipendente e autorevole, per tutte le informazioni relative al mondo arabo, comprese le azioni del terrorismo e i comunicati e i video del Califfato islamico.
La più grande base aerea statunitense nella regione è nel Qatar e da questa base aerea partono i voli per attaccare il Califfato in Siria, il che fa supporre che i rapporti con gli Stati Uniti siano eccellenti. È di questi giorni che anche la Turchia avrebbe deciso di stanziare circa 3.000 uomini in una sua base nel Paese.
Credo, ma non ho informazioni precise, che anche l’Etihad, la compagnia aerea del Golfo, abbia una consistente partecipazione finanziaria del Qatar che, peraltro, ha una compagnia aerea tutta sua. Inoltre, i Mondiali di calcio, nel ‘22, dovrebbero aver luogo nel Paese, e si sta già costruendo un mega stadio per l’avvenimento.
L’Arabia Saudita, dopo l’incontro con Trump e il suo appello per l’unione dei Paesi arabi contro il terrorismo, ha interrotto i rapporti diplomatici con Doha, indicata come finanziatore del terrorismo, come ha già fatto con l’Iran alcuni mesi fa, coinvolgendo anche gli altri Paesi del Golfo in una specie di crociata anti terrorismo di marca sunnita-wahabita. In realtà, non è tanto l’amore per la pace a spingere Riad contro il Qatar quanto la necessità di riaffermare la supremazia saudiana sul Golfo.
Il Qatar, nonostante le differenze religiose esistenti, è in ottime relazioni con l’Iran che è impegnato nella guerra civile yemenita fra gli Sciiti e i Sunniti locali, questi ultimi appoggiati, invece, dall’esercito saudiano.
Riassumendo: i Paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa, tutti sunniti di osservanza wahabita, hanno rotto le relazioni diplomatiche con Teheran e, tranne qualcuno (Kuweit) con il Qatar.
Gli Stati Uniti, che hanno attivato la santa alleanza saudiana, si sono offerti da mediatori fra Doha e Riad, una soluzione trumpiana piuttosto improbabile.
Intanto, si scatenano gli attentati in Iran. Stavolta è l’ISIS a rivendicare gli attacchi, perché le truppe iraniane sono impegnate in Iraq, a fianco degli Stati Uniti (sic!), contro il Califfato islamico che è nato dall’ISIS.
Per completare il quadro, i media e le folle iraniani sostengono che gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita hanno armato la mano dei terroristi (tutti Iraniani e già foreign fighters in Siria) che hanno colpito Teheran.
Non entro nei dettagli parlando della Siria, perché questo è tutto un altro pasticcio. Basterà ricordare che le truppe kurde, prevalentemente femminili, sono entrate e stanno combattendo a Raqqa, già capitale del Califfato, supportate dall’aviazione nordamericana.
Una notazione finale dovrebbe essere particolarmente interessante per la nostra diplomazia. L’Egitto si è schierato con l’Arabia Saudita, assieme alla Cirenaica, proiezione degli interessi egiziani in Libia, dove comanda il Generale Haftar, che è in guerra con il regime libico riconosciuto anche dal nostro Paese ed è supportato anche dai Russi.
Ne consegue che siamo tutti contro tutti. In particolare, per quel che riguarda il nostro Paese, in Libia non riconosciamo Haftar e diamo supporti tecnici e logistici al suo avversario, abbiamo pessime relazioni diplomatiche con il Cairo, che si è schierato con Riad.
Siamo tutti contro il terrorismo, a parole, ma una diplomazia coerente fa acqua da tutte le parti. Se, per conseguenza logica, gli Stati Uniti dovessero riconoscere Haftar come il legittimo responsabile della Libia, ci troveremmo in grandissima difficoltà, assieme alla Francia e all’Europa intera, che ha disconosciuto il regime cirenaico. Inoltre, rebus advenientibus, potrebbe profilarsi una spartizione della Libia fra Cirenaica e Tripolitania, cosa da sempre rifiutata dalle diplomazie occidentali europee.
Il quadro delle relazioni internazionali, in questo quadrante geografico, è in rapido movimento ed è difficile scremare il meglio o l’utile. Un fatto è certo, i giochi importanti si fanno sempre sopra le teste dei popoli che non contano nulla.
Roma, 8 giugno 2017.