Il recente caso Pernigotti – marchio italiano storico comprato da imPRENDItori turchi per delocalizzarne la produzione (1) – restituisce attualità al tema del ‘Made in’. È indispensabile e urgente applicare le regole UE già in vigore, sebbene disapplicate, ed estenderne la portata. Affinché i consumatori possano sempre conoscere il Paese di origine di tutti i prodotti alimentari commercializzati in Europa.
Origine degli alimenti, le regole in essere
Il Paese di origine delle merci la cui realizzazione abbia avuto luogo in diversi territori nazionali identifica quello ove il prodotto ha subito la sua ultima trasformazione sostanziale. (2)
I prodotti alimentari non sfuggono a tale regola generale. Il regolamento (UE) n. 1169/11, c.d. ‘Food Information Regulation’ (FIR), precisa infatti che ‘il paese di origine di un alimento si riferisce all’origine di tale prodotto, come definita conformemente agli articoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) n. 2913/92.’ (3)
‘L’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria:
a) nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza;
b) per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all’allegato XI. L’applicazione della presente lettera è soggetta all’adozione degli atti di esecuzione di cui al paragrafo 8’.(4)
‘Quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:
a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure
b) il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento.’ (5)
La Commissione europea ha precisato l’obbligo di indicare in etichetta il ’Made in’ ogni qualvolta il consumatore possa venire indotto in errore sull’effettiva origine dei prodotti alimentari. Anche nell’ipotesi in cui sia proprio il marchio a evocare – nelle parole e sonorità, piuttosto che in immagini e simboli – un Paese diverso rispetto a quello ove l’alimento è stato prodotto. (6)
In tutti i casi di ‘Italian sounding’, l’operatore responsabile dell’informazione al consumatore (7) ha perciò il dovere di riportare in etichetta il Paese di ultima trasformazione dell’alimento. Così ad esempio, ‘crema spalmabile Pernigotti – prodotto in Turchia’. Altrettanto vale per tutte le referenze con i marchi Perugina e Buitoni (Nestlé), Algida (Unilever), Bertolli (Deoleo) – e quanti altri, di ‘sonorità italiana’ – che non siano state prodotte in Italia.
Italian sounding. Violazioni di legge, carenza di controlli, impunità
L’obbligo di indicare il ‘Made in’– nelle sole ipotesi di sua falsa suggestione attraverso un marchio – vale dunque a garantire la corretta applicazione del regolamento (UE) n. 1169/11, che si applica dal 13.12.14 e ha innovato, sotto tale aspetto, la previgente disciplina. (8)
Invero ha innovato in linea con i doveri di chiarezza e trasparenza dell’informazione al consumatore già previsti dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali. (9)
‘Le informazioni sugli alimenti non inducono in errore (…) per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione’ (reg. UE 1169/11, articolo 7.1.a, Pratiche leali d’informazione)
Le autorità di controllo hanno perciò il dovere di applicare sanzioni in tutti i casi in cui alimenti non prodotti in Italia vengano commercializzati con marchi suggestivi di italianità, senza riportare in etichetta il Paese d’origine. Controlli e sanzioni sono doverosi, in Italia come in altri Paesi UE, a tutela del ‘Made in Italy’ come del ‘Made in France’ eccetera. Ma non se ne ha voce, l’impunità regna sovrana.
Il ministro Gian Maria Centinaio deve prendere in mano la situazione e comandare all’ICQRF di di attivarsi. Ricordando che ogni violazione su contenuti e modalità dell’indicazione di Paese d’origine o luogo di provenienza deve venire punita con la sanzione amministrativa da € 2.000 a € 16.000, ‘salvo che il fatto costituisca reato’ (d.lgs. 231/17, articolo 13).
Made in, le nuove regole necessarie
I consumatori europei hanno il pieno diritto di conoscere l’origine dei prodotti alimentari, così come la provenienza dei loro ingredienti primari. Hanno il diritto di non subire inganni sull’origine e provenienza degli alimenti, come invece tuttora accade ovunque, nella colpevole inerzia delle autorità di controllo dell’Europa unita.
La globalizzazione delle commodities – che il capitale finanziario mira a estendere a ogni derrata alimentare e merce di sorta – incontra perciò un limite nell’esigenza dei consumAttori di sapere da dove arriva quale cibo, a partire da quale materia prima, nel rispetto di quali regole. E il Paese di origine è il primo elemento identificativo di una cultura che comprende una serie di valori imprescindibili, non ultimi i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente, l’integrità della filiera. In una parola, sostenibilità.
La sede dello stabilimento deve venire indicata sulle etichette di tutti i prodotti alimentari immessi sul Mercato interno, senza se e senza ma. Per le ragioni anzidette, e ancor prima per garantire l’efficacia delle azioni correttive che si rendono necessarie in ipotesi di rischi di sicurezza alimentare. (10)
I rappresentanti della filiera alimentare in Italia – dalla produzione agricola primaria ai consumatori – devono perciò attivarsi affinché tale obbligo venga introdotto, in fase di riforma del ‘General Food Law’, quale elemento indispensabile a integrare i blandi requisiti di rintracciabilità dei prodotti alimentari, introdotti in Europa a far data dall’1.1.2005. (11) I tempi sono maturi affinché la stessa Coldiretti, prima confederazione agricola in Europa, porti avanti questa iniziativa a complemento di quella – altrettanto preziosa – di ‘EatORIGINal! Unmask your food’.
Dario Dongo
Note
(1) Per una lucida analisi della vicenda Pernigotti, si richiamano i preziosi scritti dell’amico Attilio Barbieri, ‘il casalingo di Voghera’, su https://www.ilcasalingodivoghera.it/i-turchi-vogliono-portarci-via-il-cioccolato-pernigotti-dobbiamo-fermarli/,https://www.ilcasalingodivoghera.it/ce-poco-da-festeggiare-pernigotti-sara-fatta-a-pezzi-e-il-grosso-andra-in-turchia/
(2) Il Codice Doganale UE prevede che ‘Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione’ (reg. UE 450/08,art. 60.2. Così già il reg.CEEn. 2913/92e successive modifiche, articoli 23-26). In linea con quanto stabilito nel Trattato istitutivo dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio, altrimenti nota come WTO, World Trade Organisation)
(3) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 2.3
(4) Regolamento (UE) n. 1169/11, articolo 26, comma 2
(5)V. reg. UE 1169/11, art. 26, comma 3. La Commissione europea, in accordo con il Parlamento europeo e il Consiglio, ha attuato tali previsioni con l’ignobile regolamento ‘Origine Pianeta Terra’, OPT (reg. UE 2018/775)
(6) Cfr. risposta 27.2.15 del Commissario Vytenis Andriukaitis a interrogazione scritta dell’On.le Elisabetta Gardini. Si veda l’articolo https://www.foodagriculturerequirements.com/archivio-notizie/europa-obbligo-di-indicare-il-paese-d-origine-sui-prodotti-italian-sounding
(7) Ai sensi del regolamento UE 1169/11, articolo 8, la responsabilità primaria su completezza e correttezza dell’informazione al consumatore ricade sull’operatore che ha la titolarità o comunque gestisce il marchio con cui il prodotto viene commercializzato. Ferma restando, in ogni caso, la responsabilità concorrente del distributore
(8) La direttiva 2000/13/CE, abrogata il 13.12.2014 dal reg. UE 1169/11, limitava infatti l’obbligo di indicare ‘luogo d’origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare’ (dir. 2000/13/CE, articolo 3.8). Senza riferire, come invece precisato dal regolamento FIR ora in vigore, all’ipotesi in cui ‘le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza’ (reg. UE 1169/11, art. 26.2)
(9) Il ministro Gian Maria Centinaio dovrebbe anche richiamare l’ICQRF per l’inaccettabile inedia nel caso del ‘latte alpino di pianura’. Si veda il precedente articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/idee/latte-alpino-falso-relazioni-pericolose
(10) Cfr. reg. CE 178/02, articolo 19
(11) V. reg. CE 178/02, articolo 18