Quello che vedete nella foto è il mio amico Dario. Per il senso che voglio dare a questo mio articolo, non importa chi sia Dario e cosa faccia nella vita, anche se vi posso garantire che di persone come lui non ce ne sono mai abbastanza.
Ma cosa fa Dario nella foto, e perché?
Ci troviamo nella Metro di Roma, anche se per questa volta non vorrei centrare la questione su Roma, perché anche altrove le cose non vanno meglio. Bene, Dario avrebbe voluto usare gli ascensori – che per lui, in sedia a rotelle, come per genitori con passeggini, anziani e tanti altri – spesso non esistono o non funzionano. Ed è così costretto, con l’aiuto di due samaritani, a scendere le scale mobili all’indietro. Altrimenti, niente Metro.
Siamo la sesta potenza industriale del mondo, abbiamo investito un minimo – mai abbastanza – nella mobilità cittadina tramite servizio pubblico, diciamo sempre di essere molto attenti alle esigenze degli “altri”. Ecco, appunto: “altri” da chi? “Altri” perché?
Dario è solo uno dei tanti, troppi nostri concittadini che spesso guardiamo con sospetto, a volte malcelato, quello che ti fa pensare “Oddio, c’è un disabile, adesso per caricarlo in treno andrà a finire che stiamo in ritardo, e io ho l’appuntamento dall’estetista.”
Ecco la differenza, il “noi” e il “loro”. Dario è costretto ad aspettare due persone che lo aiutino a scendere le scale della Metro a marcia indietro (!!) mentre io mi lamento che arrivo tardi per la partita o per il Gran Premio.
Siamo in un mondo di finzione, della quale quasi tutti facciamo parte e che, in un certo senso, noi stessi alimentiamo quotidianamente, e fino qui quasi nulla di male, ci mancherebbe: ho il pieno diritto di divertirmi, correre, giocare, saltare i tornelli, parcheggiare di traverso, io sono “normale” o almeno “normodotato”. In alcuni casi mi vengono forti dubbi, ma lasciamo stare.
Nel mondo del Mulino Bianco, la “diversità” infastidisce i più perché altera il loro ordine sovrano, quello nel quale ti puoi (o ti devi) lamentare del nuovo telefono, ma non puoi tollerare che una carrozzina ti faccia ritardare, perché nei sorrisi a 42 denti del Mulino Bianco questo non è contemplato.
E, invece, è la normalità. Magari non la nostra, ma è normalità. Quella di Dario, di Rodolfo, di Alfredo (miei amici disabili) ma anche quella di centinaia di migliaia di concittadini che, per svariate ragioni, si trovano in una situazione nella quale il sentimento che dovrebbe uscire non è certo né la sopportazione né il pietismo, ma dovrebbe essere sempre, solo e comunque il rispetto e l’attenzione. In fase di progettazione e ristrutturazione di infrastrutture, strutture e servizi, pubblici e privati. Senza costringere nessuno, né Dario né i samaritani di turno, ad affrontare situazioni impervie e pericolose.
In un Paese civile i samaritani sono sempre utili, ma il problema delle barriere – culturali, prima ancora che architettoniche – deve venire risolto a monte, dalla Pubblica Amministrazione come dai privati. Senza dimenticare la legge italiana forse più disapplicata di tutte, volta a eliminare le barriere architettoniche, che ha compiuto 30 anni il 9 gennaio scorso.
A volte bastano pochi centimetri, un gradino o un marciapiede privo di scivolo, una porta troppo stretta, per rendere la vita difficile a “loro”, mentre “noi” quel gradino nemmeno lo vediamo. Gli ascensori e le rampe in Metro o in stazione io credo di non averli mai usati, ma molti di “loro” vengono esclusi a causa delle loro mancanza.
Quanti sono i disabili in Italia?
Fate una prova: prima di proseguire a leggere, chiudete gli occhi e pensate ad un numero.
Bene, adesso guardate il dato 2018: 4.345.000 persone in Italia sono colpite da disabilità di vario tipo.
Davvero possiamo pensare di considerarci un Paese civile se non teniamo conto che ci sono quattromilionitrecentoquarantacinquemila concittadini che non godono degli stessi diritti minimi di cui godiamo “noi”? Sul serio si riesce a rimanere indifferenti?
Ho avuto modo di verificare di persona cosa vogliano dire, per “loro” le cose normali, quotidiane, automatiche per “noi” e, francamente, quando le cose normali diventano ostacoli, vuole dire che il livello di civiltà ha ancora ampi spazi di miglioramento.
Il 14 luglio ci sarà a Roma il Disability Pride 2019; ho partecipato a quello 2018, un’esperienza davvero emozionante, coinvolgente ma che non è per nulla sufficiente a svegliare le nostre coscienze troppo impegnate a parlare di navi, sbarchi, porti chiusi o aperti e altre simili amenità. Andateci, perché vale la pena, invece di un caffè in centro, vedere la vitalità, la forza, i sorrisi, la voglia di vivere che arriva da questi amici. I quali spesso non sono “malati” ma soltanto persone che vivono una condizione di vita non privilegiata. Andate e, sono sicuro, non vi pentirete.
Tutto questo detto senza pietismo o ipocrisia, ci mancherebbe.
Tutto questo detto per vedere, oltre alla voglia di vivere di Dario, anche la possibilità per lui e tantissimi altri di vivere in un modo migliore; per lui e per tutti gli altri, perché solo così potremmo definirci un Paese migliore, civile e democratico.
Prima no.
Forza Dario, io sono con te e per fortuna non sono il solo.