Ci sono tre episodi, apparentemente slegati tra di loro, ma che appartengono tutti al mondo della Sanità, che vorrei sondare stasera.
Il primo è l’episodio accaduto il 5 gennaio proprio qui a Modena, dove possiamo lamentarci di molte cose ma non della sanità, almeno facendo il confronto con altre realtà. Il 5 gennaio, appunto, alle 21 di sera, dopo circa dieci ore filate di vaccinazioni COVID, ci sono 11 dosi pronte ma mancano i vaccinandi; meglio, non mancano, ma le dosi pronte non possono essere conservate per più di sei ore, quindi non fino al giorno dopo. L’ospedale provinciale, nel quale si effettuano le vaccinazioni, è ovviamente semi deserto alle 21 del 5 gennaio (prefestivo) e quindi non ci sono nemmeno dirigenti in loco per dare istruzioni. I medici vaccinatori cercano nei reparti e trovano 5 colleghi che possono scendere e vaccinarsi, ma 6 dosi rimangono “senza padrone”; loro, dopo aver tentato con altri addetti sanitari, non trovano niente di meglio da fare che far arrivare alcuni congiunti (termine molto caro ai DPCM) e vaccinare loro, in modo da non sprecare le preziose dosi. Apriti cielo!!!
Oggi addirittura della cosa si è occupato il Sole 24 Ore, parlando dei “soliti metodi italici”, dopo che il Fatto Quotidiano aveva aperto per primo la querelle sulle 6 (sei) dosi di vaccino. Oggi la Direzione generale della AUSL di Modena, dopo le doverose scuse per un comportamento non da procedura, ha sospeso dal servizio vaccinale due medici e un infermiere, come se ce ne fossero in abbondanza. Il tema del mio pensiero non è se abbiano fatto bene o male (per me hanno fatto bene se non c’erano altre possibilità), ma il fatto che su una cosa così minimale si sia arrivati a chiedere le dimissioni del Presidente della Regione: ma stiamo scherzando? E’ chiaro che vanno implementate fasi procedurali anche in questo caso, ma in assenza di altre possibilità credo che abbiano fatto bene a non buttare le dosi. Peraltro mi piacerebbe sapere come si comportano gli altri centri vaccinali, perché il problema ovviamente non è solo qui. Io credo che succeda spesso con meno clamore, oppure le dosi “avanzate” vengano buttate senza tanti complimenti. Magari, invece di pensare a stupidi gazebo fioriti in piazza, sarebbe stato meglio studiare in modo molto approfondito anche questi dettagli, ma questo temo sia chiedere troppo.
Da Modena scendiamo a Napoli, Ospedale del Mare. Struttura praticamente nuova, inaugurata a più riprese (tipico vezzo italiano) dal 2015 al 2017, progettato nel 1997 (!!) per accorpare alcune strutture dell’area metropolitana di Napoli (Incurabili, Loreto Mare, San Gennaro e Ascalesi), la sua realizzazione inizia nel 2004 e va avanti fino al 2010 quando una inchiesta su presunti abusi edilizi (per essere più precisi “realizzazioni difformi al progetto”)ferma i lavori; viene completato solo nel 2017 in zona rossa Vesuvio, ma anche questo è un dettaglio trascurabile. Solo venti anni per farlo, con costi più che raddoppiati rispetto al progetto iniziale che prevedeva un costo di 187.000.000€, al 57% fondi pubblici (nostri) e 43% project financing: niente male, se non fosse che, per finirlo, c’è voluto un ulteriore stanziamento di fondi pubblici per ulteriori 180.000.000€ (nostri). Il tutto per completare un’opera assolutamente necessaria e di altissimo livello in un’area metropolitana in cui vivono circa 700.000 persone che avrebbero potuto godere di una struttura di 150.000 mq con 451 posti letto e 18 sale operatorie nuovissime: un modesto costo di 800.000€ a posto letto, una bazzecola.
Tutto molto bello, se non fosse per alcune strane strutture sotterranee che passano sotto al parcheggio visitatori e che l’altro giorno sono collassate facendo un buco (giornalisticamente: creando una voragine) di circa 2000 mq e che per fortuna non ha causato vittime. Pare che solo un mese fa i tecnici e i dirigenti della Asl avessero fatto un sopralluogo verificando il nulla, tutto a posto. Per fortuna.
Prendiamo il Freccia Rossa ed arriviamo a Milano, dove tra ieri e oggi si è consumata l’ennesima tragicommedia all’italiana. Come noto, Regione Lombardia (poi mi spiegheranno perché non si deve dire “la regione”, ma si deve omettere l’articolo), ha visto le prodezze di Gallera al Welfare fino a ieri. Chi lo conosce personalmente ne parla come di una brava persona, e io non ho alcun motivo per dubitarne, ci mancherebbe; ma mi pare di poter dire che era una brava persona messa nel posto sbagliato, soprattutto in questa fase pandemica. Ho ascoltato alcune delle sue conferenze stampa nei mesi del primo lockdown e francamente tutto mi pareva meno che uno che sapeva bene di cosa stesse parlando. Bene, dopo molte pressioni, il Presidente Fontana (sul quale non mi esprimo perché ho troppi amici in Lombardia ) decide un “rimpasto” della sua giunta, ma è chiaro a tutti che il punto nodale è la sostituzione di Gallera che “è stanco” (lo hanno detto in conferenza stampa), ma il capolavoro è il nome del sostituto (o sostitutessa?): Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, vedova Moratti, Dama di Gran Croce dell’Ordine di Sant’Agata (San Marino), Dama di Gran Croce dell’Ordine del Belize, Dama di I Classe dell’ordine del Sol Levante (Giappone), Dama dell’Ordine della Legion d’Onore (Francia), tutti titoli importantissimi in Italia, senza dubbio
Letizia Moratti (per gli amici), milanese nel profondo del DNA, persona di sicuro carisma e di grande potere in Lombardia, ha ricoperto diversi incarichi politici: Presidente RAI per due anni, Presidente UBI Banca, Ministro dell’istruzione e Sindaco di Milano. Certamente una donna capace, nulla da dire.
Ma ci sono un paio di vicende interessanti nella storia personale di Moratti che avrebbero dovuto indurre Regione Lombardia (senza l’articolo, mi raccomando) ad una certa prudenza: quando fu nominata Sindaco, Moratti avrebbe licenziato senza giustificato motivo una decina di dirigenti del Comune, affidando quasi contemporaneamente 54 incarichi a consulenti esterni, spesso senza requisiti. Per tale presunto spoil-system, Moratti è stata condannata dalla Corte dei Conti a risarcire il Comune di Milano, pur riconoscendo l’insussistenza di condotte penalmente rilevanti ma discutibili sotto il profilo etico (e qui mi scappa da ridere).
Nel 2009, Moratti è stata condannata a risarcire lo Stato e il Comune di Milano (qui l’articolo è ammesso) assieme a Giampiero Borghini ed altri: somme dovute 236.000€ allo Stato Italiano e 125.000 € al Comune di Milano (solo da lei).
Nel dicembre 2016 è stata condannata dalla corte dei conti a versare al Comune di Milano oltre 591.000 euro per due voci di spesa: 11 incarichi dirigenziali esterni a non laureati per quasi 1,9 milioni, e retribuzioni ritenute troppo costose, più di 1 milione, di alcuni addetti stampa. Oltre a Letizia Moratti, l’ex vice sindaco Riccardo De Corato dovrà risarcire 21.763 euro (per le stesse voci contestati alla Moratti), l’ex sindaco ed ex direttore generale Giampiero Borghini oltre 106.000 euro e gli ex assessori Tiziana Maiolo, Mariolina Moioli, Edoardo Croci e Carla De Albertis oltre 21.000 euro. Per i giudici contabili, si legge nel loro provvedimento, l’operato di Letizia Moratti avrebbe avuto “il connotato della grave colpevolezza, ravvisabile in uno scriteriato agire, improntato ad assoluto disinteresse dell’interesse pubblico alla legalità e alla economicità dell’espletamento della funzione di indirizzo politico-amministrativo spettante all’organo di vertice comunale”. I magistrati hanno confermato anche la “grave colpevolezza della condotta” in capo a tutti gli assessori che allora votarono le delibere con cui sono state conferite le cosiddette ‘consulenze d’oro’ per le quali era anche stata avviata un’inchiesta da parte della Procura, poi archiviata. (Fonte Wikipedia, se le informazioni non sono corrette la colpa non è mia).
Bene, io credo che nemmeno in Sierra Leone, nota patria della democrazia, si sarebbe arrivati ad una nomina così: una persona che è stata condannata a risarcimenti importanti verso lo Stato e il Comune più importante d’Italia (dopo Roma, sennò mi si incazza Virgy Occhibelli Raggi), viene assunta dallo Stato stesso per un incarico che definire delicatissimo in questo momento è poco. In una Regione che vanta il primato del 61% di prestazioni sanitarie private, che ospita le migliori strutture (private) dell’intero Paese, che affronta in prima linea una situazione come questa, non trova niente di meglio che nominare Assessore al Welfare una persona che, oltre ad avere il leggero carico di pendenze finanziarie con lo Stato descritte sopra, non si è MAI occupata di Sanità: i tanti, tantissimi professionisti della Sanità che operano in Lombardia ( ne conosco molti) ringraziano sentitamente questa ennesima scelta scellerata della politica nostrana.
Bravi sul serio.
Sanità fiore all’occhiello del Paese.