No, non sono miei amici. Sono i nomi delle ultime tre vittime sul lavoro di questi giorni; si riparla del tema perché muore una giovanissima mamma, una operaia che penso sperasse di guadagnare un po’ di soldi per poi fare altro nella vita e, invece, ha lasciato la pelle in un macchinario, credo anche in un modo atroce.
185 vittime nei primi mesi del 2021, il 14% in più dell’anno passato. Più di uno al giorno, morti orrende di chi cercava solo di guadagnarsi la pagnotta, nulla di più.
Il tema è complesso ma soprattutto doloroso, perché di lavoro non si potrebbe né dovrebbe morire, perché il lavoro è vita, non può essere morte. Nei giorni scorsi un’amica scriveva che se togli il lavoro ad un uomo lo uccidi. Vero, ma a volte (troppe) può essere il lavoro che ti uccide.
Regole poco chiare, troppo complesse, con costi per le aziende spesso insostenibili, troppo lavoro nero (peraltro in questo caso le statistiche delle vittime non sono proprio chiarissime), e una politica che oggi si indigna, promette, sbraita e poi domani guarda altrove. Perché la verità tristissima è questa: la politica, troppo spesso, ci marcia su queste cose, per dare un senso di vicinanza a tutti, ma poi si gira e guarda ad altro. E che questo altro sia Zan, Biancaneve, Fedez o l’Inter, è un problema decisamente secondario, anzi è proprio fuffa, e della peggior specie.
Ci sono mestieri che presentano livelli di rischio molto elevati, altri in cui i rischi sono spesso sottovalutati, altri in cui “se vuoi lavorare è così, altrimenti puoi anche andare a spasso”, e chi ha bisogno accetta, spesso controvoglia, turni massacranti, senza assicurazioni di nessun tipo, senza DPI (dispositivi di protezione individuale) rischiando spesso molto, a volte troppo. Quei tre nomi nel titolo e il numero del 2021 ne sono palese dimostrazione.
Vedete, nel corso degli anni ho avuto modo di affrontare, spesso da posizioni di elevata responsabilità, il tema della sicurezza in azienda, e posso dire che è una cosa davvero molto complessa, anzi eccessivamente complessa. Questo perché sul tema sicurezza ci sono molti interlocutori (ASL, Ispettorato, Vigili del Fuoco, Enti ispettivi, Inail, e altri) che vogliono a tutti i costi dire la loro sul tema, spesso senza nemmeno averne fino in fondo la competenza, utilizzando norme a volte contraddittorie e/o costosamente inutili.
Manca la formazione, manca il senso di responsabilità, manca spesso la volontà politica di fare chiarezza, oltre al fatto che mancano (non del tutto, ma si può fare di più) opportune politiche dello Stato sulla sicurezza, politiche che consentano agli imprenditori di realizzare tutto quello che può servire a limitare eventuali danni o, meglio ancora, a ridurre drasticamente quei numeri.
Gli episodi come quello di Prato fanno rumore, ma è un rumore di breve periodo, un rumore fine a sé stesso, per dire che “io capisco il problema, vedrai che faremo tutto quello che serve”, salvo poi il giorno dopo parlare d’altro. (il riferimento alla politica nazionale è fortemente voluto).
Su questo devo dire che, nella mia esperienza di azienda, ho spesso trovato interlocutori utili e sensati nei Sindacati che, mediamente, sono molto sensibili al tema della sicurezza, ma cadono poi miseramente sul caporalato e sul lavoro nero, forse perché anche per loro sono temi di tale vastità che diventa difficile gestirli: ma non dobbiamo dimenticare che sono spesso proprio lì le vittime più sconosciute.
Ci deve essere più attenzione, più sensibilità, più investimenti, meno politica parlata e più politica vera, meno giustizialismo e più chiarezza normativa, più investimenti e meno vessazioni alle imprese: lo dobbiamo a Luana, Mattia, Sabry e a tutti gli altri.