La presunzione d’essere portatori della verità ha rovinato molta gente.
Un Di Maio che si presenta al mondo dicendo: questi sono i miei voti, queste sono le mie promesse (il programma), questi sono i miei uomini, quindi io devo fare il Presidente del Consiglio, è inaccettabile. In politica i ricatti sono ricatti e le proposte sono proposte ma, in quanto tali, negoziabili. E poi, chi è Di Maio? La sua storia personale non è così istruttiva circa la sua formazione. Se io fossi la sua mamma, ne sarei orgogliosa: da che vendeva le bibite allo Stadio di S. Paolo a Napoli, ne ha fatta di carriera. Onore al merito. È giovane, si veste bene, parla non bene, ma non peggio degli altri, piace. Tutto qui. Ma basta per governare un Paese con il 32% dei voti su quelli che sono andati alle urne? Macron ha fatto peggio. Si regge sulla stanchezza degli elettori con una percentuale di consenso assai minore, però ha qualche asso nella manica in più. Dietro c’è la moglie.
Dietro Di Maio chi c’è? Grillo? Oppure Casaleggio? È tra un comico e un imprenditore. Forse è una strada nuova, ma che conduce dove? È facile avere consensi promettendo la luna. I programmi sono chiacchiere dove vince chi la spara più grossa. Poi, la realtà riduce a ragionare su squallide cifre. Guai a disilludere chi ti ha dato fiducia!
Prendiamo Salvini. Altra pasta, altra grinta. Anche lui ha fatto un capolavoro, uscendo dalle secche del federalismo e degli intrighi di Bossi. Ha scelto una via “nazionale”, ha disintossicato il centro-destra, ha raccolto consensi superiori a quelli di Forza Italia. Ma chi è Salvini? La sua storia personale è diversa da quella di Di Maio, ma ciò non significa che sia un uomo di Stato. Dietro c’è Berlusconi. Che Berlusconi sia “il male assoluto” forse è vero ma, anche qui, si esagera un po’. Berlusconi è un personaggio dalla vitalità sorprendente ma in declino.
Dal Nazareno in poi non ne ha azzeccata una. Il suo disegno di coinvolgere il PD con Forza Italia è miseramente fallito. Nel centro-destra sta diventando una spina nel fianco di chi vorrebbe dinamismo. L’onda del centro-destra non lo vede più come il Nume. Troppe congiure e troppi guai hanno costellato la sua carriera politica. Di Maio ne fa una conditio sine qua non: non parliamo con Berlusconi.
Berlusconi, però, è ancora un pezzo importante del centro-destra. Di Maio non può pretendere che Salvini spacchi la coalizione perché, dopo, sarebbe solo il vassallo di un Di Maio trionfante. Proviamo, invece, a fare un altro ragionamento. Le elezioni del 4 marzo hanno segnato una svolta: gli elettori hanno chiaramente manifestato la loro voglia di un cambiamento radicale: via la sinistra e le sue chiacchiere irresponsabili. Vogliamo cambiare. Il cambiamento è radicale. Mezza Italia è con 5Stelle, un’altra mezza o quasi è con il centro-destra. Il PD scompare sotto l’onda degli errori di Renzi. Se si vuole tener conto degli umori dell’elettorato non si può andare avanti a botta di veti: mai con il PD (Salvini), mai con Berlusconi (Di Maio). L’irresponsabilità nei confronti degli elettori è assoluta.
Questa situazione di stallo non fa bene a nessuno, neppure nell’ipotesi di un ritorno alle urne che stancherebbe profondamente l’elettore comune. Ma come, direbbero, li abbiamo votati per cambiare e torniamo di nuovo a votare perché non si mettono d’accordo? Ma allora, sono tutti dei cialtroni! Di Maio dice: per me, destra o sinistra è la stessa cosa, purché accettino i nostri programmi. È un bel dire che non trova consensi. Nessuno è disposto a rinunciare alle proprie idee o alla propria storia.
È un’ingenuità e come tale va considerata, non come un cavallo di battaglia. Salvini è molto più cauto. Rileva un’affinità di proposte fra 5Stelle e la Lega, non pretende di essere il Presidente del Consiglio, non si sente un portatore di verità. La soluzione? A me non sembra che i due siano degli “uomini di Stato”. Sono pieni di buone intenzioni, forse lo diventeranno, ma tutto lì. D’altro canto, il paragone con quelli che li hanno preceduti a Palazzo Chigi non è tale da farli sfigurare. Di figuri bolsi, ignoranti e gretti, di gente che poco capiva e molto arraffava, ne abbiamo visti tanti. Questi due, Salvini e Di Maio, sono stati eletti dal popolo. Di Maio ha il 32% e dietro un comico condannato, Salvini il 38% e dietro un Berlusconi condannato.
Grillo si è tolto di mezzo, almeno apparentemente. Berlusconi potrebbe fare lo stesso, in un soprassalto di dignità. Finché resiste, il Paese è fermo. Fuori, di là dai confini, il mondo frigge, a Bruxelles, a Niamey, a Damasco, a Kiev, a Sanaa. L’assenza dell’Italia non è determinante per il mondo, ma lo è per noi. Bisognerebbe pensarci. Le polemiche da condominio non risolvono le buche sulle strade e le risse da pollaio non aiutano la gente che ha fame di lavoro e di reddito. Questo sì che è un problema di responsabilità generale. Nella storia italiana ci sono stati due esempi importanti di tribuni del popolo: Cola di Rienzo, che finì ammazzato e Masaniello, che fece la stessa fine. Sollevarono entusiasmi e furori, ma finirono male. Se questa occasione di cambiamento si perde, il rischio è quello dell’anarchia politica e del disastro economico. Il balletto dei veti incrociati dal Presidente potrà durare ancora un poco, ma fino ad un certo punto. E rimescolare le carte con nuove elezioni, probabilmente, non conviene a nessuno.
Roma, 10/04/2018.