Sottotitolo: i mali dell’impresa italiana.
Da sempre, quando si parla di quello che non funziona nel modo di fare impresa in Italia, si elencano come litanie alcuni elementi tipici e scontati, che riassumo di seguito:
- le imprese italiane mancano di competitività e di riconoscimento all’estero
- le imprese italiane non esportano
- le imprese italiane non investono in ricerca e sviluppo
- in Italia le società straniere non vengono ad investire
- in Italia le donne sono sempre meno presenti nelle aziende rispetto agli uomini
- in Italia le donne non sono presenti nel top management delle aziende
- in Italia si assume sempre di meno
- in italia non si valorizzano i titoli di studio
- le imprese italiane non crescono
- le imprese in Italia non vanno mai ad investire al Sud
Bene, questo decalogo è assolutamente condivisibile, si tratta di dati sui quali ci sarebbe ben poco da dire, se non maledire come sempre il Governo, o meglio tutti i Governi.
Bene, nonostante queste verità lapidarie, c’è un settore che presenta dati discordanti rispetto a queste tavole di Mosè della giaculatoria di stato:
- il settore è ritenuto a livello mondiale un benchmark positivo per l’alta qualità delle imprese
- il settore rappresenta da solo il 52% del totale export del settore high-tech nazionale (dato 2016) (+52% nel periodo 2010-2016)
- il 70% della produzione è per export per un controvalore di 21 miliardi di euro
- le imprese del settore nel 2017 hanno investito 1.5 miliardi di euro in ricerca e sviluppo
- 40% delle società a capitale italiano, 23% americano e 37% Giappone, Europa ed altre nazioni
- 44& degli occupati sono donne
- 29% dei dirigenti sono donne e 43% dei quadri pure
- 64.000 addetti diretti e 130.000 nell’indotto. Occupazione in crescita costante dell’1%a all’anno negli ultimi due anni per 12.000 assunzioni, per metà al di sotto dei 30 anni.
- 90% degli occupati laureati o diplomati
- Fatturato 2016 30 miliardi di euro in crescita verso il 2015 del 2,3%
- il sud rappresenta il 6% degli occupati, l’11% degli investimenti e il 12% dell’export del settore.
- l’export del settore tra il 2006 2 il 2016, per le imprese del Sud, è cresciuto del 120%.
- il benchmark della produttività al Sud, in termini di valore aggiunto per addetto, è superiore a quello della Germania, circa 3 volte di più del totale dell’economia del Meridione d’Italia.
Ci sarebbero tanti altri dati da snocciolare, magari sulla copertura vaccinale o sul fatturato dei vaccini sul totale del fatturato delle aziende del settore, ma credo che questi dati siano sufficienti a far capire (ovviamente a chi vuole capire) che Big Pharma è molto altro da un coacervo di corrotti e corruttori, di stregoni che fanno esperimenti sull’intera popolazione del Paese, o altre baggianate del genere.
Sì perché, se non fosse ancora chiaro, questi sono alcuni dei numeri snocciolati durante l’assemblea annuale di Farmindustria, alla presenza del Ministro Lorenzin, del Ragioniere Generale dello Stato, del Comandante dei NAS e di tanti altri, e che rappresentano il biglietto da visita di Big Pharma in Italia.
E’ un settore fortissimo, che non dovrebbe essere banalizzato da chiacchiere di basso livello, con una componente high-tech riconosciuta di eccellenza in tutto il mondo.
Tutto perfetto? Ma certamente no, ci mancherebbe!! Ma forse sarebbe utile meditare su questi numeri, a meno che non si pensi che sono tutti taroccati. E qualcuno lo farà di sicuro.
Fonte: Farmindustria, Assemblea Pubblica del 21 giugno 2017.