Nel mare magnum delle notizie internazionali di questi giorni, ci sono due cose che hanno attirato la mia attenzione e che, spero, sono del tutto slegate tra loro.
La prima è la “storica” firma della fine delle sanzioni all’Iran, avvenuta a Vienna ieri. Bene, togliere l’embargo di solito significa permettere alla popolazione (che di solito è l’unica vittima delle sanzioni stesse) di ritornare ad avere accesso ai farmaci, alle vaccinazioni e a tante altre cose che rappresentano la normalità di vita per tutti noi. Ricordiamoci che nessuno in Europa ha la più pallida idea di cosa voglia dire subire sanzioni ed embarghi.
Ma l’Iran è una potenza nucleare dichiarata, e mi fanno sorridere amaramente quelli che sperano e dichiarano che l’uso del nucleare iraniano sarà solo per “scopi civili”; io temo che non sia così, e se fossi un israeliano non starei tanto tranquillo. Questo però apre un tema di portata enorme, e sul quale io non posso discettare molto, che è riassumibile in una domanda: ma chi ha dato agli Usa il potere di decidere chi può avere armi nucleari e chi no? Io immagino che ci dovrebbe essere una sorta di autorità internazionale che non possa impedire ad un Paese sovrano di decidere se avere o meno armi di distruzione di massa, ma possa e debba controllare con pieni poteri sulla presenza del nucleare in tutti i Paesi del mondo. Lo so, sto sognando….. A me, francamente, la politica internazionale dichiarata dall’Iran fa paura, molto più di quella della Corea del Nord, che mi sembra si elevi di poco sopra la barzelletta: l’Iran conta (se non vado errato) poco meno di 80.000.000 di abitanti, e ha il petrolio. Infatti, appena dichiarate decadute le sanzioni, già ci sono ordini per un certo numero di Airbus (ordine a suo tempo bloccato dagli USA) e le autorità iraniane dichiarano che sono in grado di produrre da subito una enorme quantità di petrolio, alla faccia dei paesi del Golfo. Io temo che non ne uscirà un bel quadro in medio oriente.
La seconda notizia è più brutta, più drammatica e molto meno facile da gestire. Nei giorni scorsi, nello sperduto (per noi) Burkina Faso, nella capitale (il cui nome nessuno sa pronunciare correttamente) ci sono stati almeno 300 morti negli attacchi jihadisti agli hotel degli occidentali, pare per ritorsione contro le politiche francesi in Centro Africa. Nessuna bandiera, nessun proclama, nessun giorno di lutto, nemmeno una lacrima si versa in Occidente per questi morti. A me fa venire in mente la sindrome Nimby (Not in my backyard): fino a che succede lontano da qui, è meglio non parlarne troppo, in fondo è nel cuore dell’Africa centrale, ma nemmeno sappiamo esattamente dove, non ne conosciamo la struttura geopolitica, e che cosa dovremmo fare, piangere per quegli occidentali che erano lì e che “ma che cosa ci sono andati a fare?”. A me fa molta tristezza questa sorta di “razzismo” terroristico, per cui tutti oggi abbiamo in mente il Bataclan (a proposito, ma prima degli attentati di Parigi, quanti sapevano cosa e dove fosse il Bataclan?), mentre se le stragi avvengono in Burkina Faso, in Sierra Leone, in Algeria, o altrove non ce ne frega niente.
Non mi sembra una bella notizia.