La tragedia di Genova mi ricorda le sette piaghe d’Egitto, perché non è l’ultima ma una delle molte tragedie che affliggono il nostro Paese e, forse, non è la settima.
Non mi riferisco alla situazione politica: in fondo, diciamolo pure, ormai annoia. Chi governa dice che farà cose che non potrà fare, l’opposizione dice cose che non stanno in piedi, perché quando governava, non l’ha fatte. Anche il vaudeville, alla lunga, stanca.
Quello che emerge da questo sfacelo complessivo non è solo l’impotenza, ma l’ipocrisia dominante.
Quando il Procuratore della Repubblica di Foggia annuncia con sussiego e serietà, con voce decisa, che aprirà un’inchiesta sul caporalato, in un Paese serio il primo ad essere inquisito dovrebbe essere lui e tutti i suoi predecessori. Se ne è accorto adesso, dopo i morti, che c’è il caporalato in Puglia?
La Puglia vive da decenni sullo sfruttamento schiavistico della povera gente, per arricchire mestatori, caporali e imprenditori agricoli. Il candore del Procuratore fa il paio con il candore di tutti quegli illustri reggitori della cosa pubblica che per decenni hanno scientemente ignorato che la gente moriva, a Taranto, per l’inquinamento dell’ILVA. Sono tutti candidi, lavati con Omo e ammorbiditi nel risciacquo. Così ammorbiditi, non servono a nulla.
La tragedia di Genova colpevolizza tutti, anche chi scriveva, anni fa, sul blog di 5Stelle (poi frettolosamente ritirato), che il viadotto era solido e che non si doveva dar luogo al progetto Gronda, alternativo al viadotto Morandi.
Avevamo già scoperto, con Renzi, dopo il terremoto di Amatrice, che tutto il Paese è a rischio sismico. Naturalmente, non s’è fatto nulla. Ora scopriamo che tutto il sistema dei ponti e dei viadotti potrebbe essere a rischio. Un vero affare per gli avvoltoi nostrani. Salvini dice che i soldi ci sono ma non li possiamo spendere perché l’Unione europea non vuole che sforiamo. In cambio, contiamo i morti. Ma queste sono polemiche strumentali. Andiamo al sodo.
Chi pagherà per tutto questo? Nessuno.
Dopo più di cinquant’anni dalla costruzione del viadotto, o sono morti tutti o giù di lì. Si cercano i responsabili che non si troveranno mai. Si faranno dei processi, che non finiranno mai. Le compagnie di assicurazione si sbraneranno fra loro e poi finiranno per mettersi d’accordo e non scuciranno neppure un centesimo. Fatalità, verrà fuori.
La fatalità è il vero partito dominante.
Un’opposizione stolida, contraria a qualunque investimento infrastrutturale alligna nel nostro Paese come un’erba malefica e infestante. Ambientalisti, Verdi e Sinistri sono in buona compagnia. Con la scusa che non ci sono i soldi, che occorre vederci chiaro, che non si si può speculare sui grandi progetti (ma quali?), non si fa nulla da almeno trent’anni. Dove sono le “opere del Regime”? Nella speculazione urbana, nelle strade strette, nelle periferie squallide dove s’annidano immigranti e malavita. Non c’è altra risposta. E’ così che stiamo diventando l’ultimo dei Paesi dell’Unione. Boria, corruzione e impotenza.
I manufatti devono essere controllati periodicamente. Lo sanno tutti. La manutenzione non è un optional, ma una necessità inderogabile. Sono concetti ovvi, ma non è così. Si cade dalle nuvole, come il Procuratore di Foggia.
Il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Ministro delle Infrastrutture, il Ministro dell’Interno promettono fuoco e fiamme. Forse sono sinceri, ma sanno benissimo che sono parole vuote. Intanto, contiamo i morti.
Il traffico sull’autostrada e per ferrovia è interrotto, Genova è divisa in due, l’invasione dei Tir è bloccata, il porto è strangolato anche per quei pochi traffici che riesce ad avere. Il trasporto su strada paga le conseguenze di una dissennata politica dei trasporti. E pensare che il nostro mare è vuoto, quel mare che è stato per millenni la via di comunicazione più frequentata e meno costosa del mondo!
Non dubito della buona fede di questi personaggi. Sarebbe ingeneroso. Davanti a tanti morti innocenti insorge la rabbia, la voglia di giustizia, la necessità di un cambio di rotta. E’ una questione di dignità istituzionale nei confronti di queste incolpevoli vittime.
Dubito, invece, del fatto che possano essere conseguenti, che le loro azioni si perdano tra fascicoli processuali e perizie tecniche, nel ciarpame dei dossier che ammuffiscono negli scaffali delle segreterie e delle cancellerie, nel marciume delle inchieste infinite, delle polemiche pretestuose, delle strumentalizzazioni politiche.
E’ il Paese che ci meritiamo o, meglio, che ci siamo meritati, votando senza cervello persone moralmente infide, strutturalmente corrotte, culturalmente approssimative.
E’ il Paese che costruisce le case senza i servizi, che detiene in lager i clandestini che non ha né il coraggio né i soldi per respingere, ma che tollera che vengano sfruttati come schiavi, il Paese che si regge tollerando le cosche della malavita, il lavoro in nero, la grande evasione fiscale.
Un Paese che piange i suoi morti, stretto dall’impotenza.
Roma, 15/08/2018