Hiberia felix (di Stelio W. Venceslai)

 

Immaginiamo che Provenza o Baviera decidano, in un attimo di smarrimento mentale, di organizzare un referendum per ottenere l’indipendenza, rispettivamente, da Parigi o da Berlino, la prima invocando come tessuto connettivo la comune langue d’oc, la seconda la dinastia dei Wittelsbach. Tutte ragioni storico- linguistiche nobili, anzi nobilissime. Arruffa popolo, libertari, anarchici e finissimi intellettuali appoggerebbero la proposta. C’è sempre qualche ragione per essere scontenti del governo centrale. Che farebbero Parigi o Berlino? Inviti alla prudenza, negoziati palesi o segreti, mentre s’incrociano dichiarazioni roboanti sul diritto dei popoli e così via. Alle strette, finiscono le stupidaggini e si fa sul serio: si muovono gli eserciti.

Chi, sano di mente, in questo mondo globalizzato dove, al massimo, contano solo tre o quattro grandi entità politiche internazionali, potrebbe auspicare la secessione della Provenza o della Baviera? Non ci è bastata la balcanizzazione sanguinosa dell’ex Jugoslavia?

Questo è il caso in Spagna della Catalogna. L’idea di restaurare con un’inopinata repubblica catalana il regno d’Aragona è una follia. Romantica, ma una follia. La Catalogna è la regione più ricca, più industrializzata, più turisticizzata della Spagna. Il catalano è una lingua ufficiale, l’autonomia della Generalidad è pressoché totale. A che serve questa sceneggiata che rischia di aprire un conflitto non soltanto politico nella penisola iberica?

Dal 1936 al 1939 la Spagna ha già pagato lo scotto carissimo d’una guerra civile e d’una dittatura fino ad arrivare, gradualmente, ad una pacifica ed intelligente coesistenza. Ora, tutto rischia d’essere rimesso in gioco.

Madrid si appella al Re, alla Costituzione, all’unità del Paese, Barcellona alla libertà dei popoli. Il braccio di ferro non potrà durare a lungo. Se la Catalogna proclama la sua indipendenza, che farà, dopo? Organizzerà un esercito? Con quale moneta circolerà nel Paese? L’euro? La Catalogna indipendente non farà mai parte dell’Unione europea perché Madrid si opporrà fieramente alla sua adesione. Quale moneta s’inventerà? Forse avrà il riconoscimento della Corea del Nord, tanto per seminare zizzania in Occidente. La strada intrapresa porta soltanto ad un conflitto militare ed accende fuochi secessionisti in tutta l’Europa.

Cosa devono pensare i Baschi, ad esempio, od i Bretoni, oppure i Ruteni, per non parlare delle secolari aspirazioni scozzesi? Con quale faccia impedire ai Kurdi di essere un’entità nazionale?

Il Regno di Aragona si estendeva alle Baleari, alla Corsica, in Sardegna (ad Alghero si parla ancora catalano). Se poi ci rifacciamo alla storia, potrebbero aspirare anche ad Atene; chi ricorda la spedizione dei Catalani in Oriente? L’Europa di tutto ha bisogno, tranne che di guerre intestine. Il localismo è la madre di tutti i nazionalismi ed i nazionalismi sono il fomite di tutte le guerre.

Ma, entrando nel vivo della questione. c’è un filo conduttore, in tutte queste vicende, che è l’egoismo economico. Le regioni ricche secedono perché non vogliono pagare per quelle più povere. Bossi dette la stura al ridicolo sovranismo lombardo-veneto, rinfrescato dai prossimi referendum in materia. Il governo italiano non li ha vietati, diversamente da quello di Madrid. Ma il succo è sempre lo stesso. Non voglio pagare gli altri: io sono stato più bravo, sono diventato più ricco, peggio per gli altri.

Nessuno pensa che lo sviluppo della Catalogna, come quello dell’ex Lombardo-Veneto, è stato anche il frutto di centinaia di migliaia di lavoratori baschi, navarrini galiziani, calabresi, molisani e siciliani (ed ora, anche dei tanto bistrattati extracomunitari). Nessuno ricorda che il successo raggiunto è stato la conseguenza di un’unità di fatto con le forze lavorative ed intellettuali congiunte di tutto un Paese.

L’egoismo economico è il peccato mortale del capitalismo europeo. La dissoluzione jugoslava fu originata dalla protesta di Croazia e Slovenia che non volevano pagare più per la Macedonia e per il Kossovo. Quale fu il risultato? Una guerra civile sanguinosa, un milione di morti, cinque o sei nuovi Stati indipendenti che contano pochissimo e che si reggono in piedi solo con finanziamenti internazionali e con un cordone di truppe, soprattutto italiane, per impedire loro di scannarsi di nuovo.

Se Madrid cedesse ai Catalani ed accettasse il fatto compiuto, i Paesi baschi seguirebbero a ruota e così Navarra e Galizia. Basta pagare per l’arida Estremadura, in nome della libertà dei popoli! Se vogliono mangiare, che vengano a lavorare da noi!

Il buon senso dovrebbe far riflettere che la maggioranza dei Catalani che ha votato per l’indipendenza rappresenta solo il 40% dell’intera popolazione catalana. La freddezza dell’imprenditoria catalana è il sintomo di un imbarazzo evidente: non sarà un affare, né per il turismo né per le attività economiche. Il nuovo, possibile, folle Stato costerà molto di più dell’attuale Generalidad. E poi, per fare che?

Il romanticismo che aizza le folle è colpevole d’ingenuità. Liberi ed indipendenti, non saranno né più ricchi né più felici, sempre che non si arrivi a sparare, ed allora saranno dolori per tutti.

 

 

Roma, 5 ottobre 2017

 

 

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