Ci lamentiamo spesso della pochezza dei nostri uomini politici. Le ragioni del nostro dissenso sono molte ma, a pensarci bene, sono infondate. In un sistema democratico e, purtroppo, al momento, non ce ne sono di migliori, (visto che la democrazia del web è desolante) è la maggioranza che detta legge. Come si formi questa maggioranza è piuttosto incerto. Si vota per simpatia, per interesse, per indifferenza (tanto l’uno vale l’altro), certe volte per ragioni ideologiche o religiose, altre per antipatia verso questo o quello. In verità, un voto razionale, pensato in funzione degli interessi del Paese o per approvare delle linee di programma di questo o di quel raggruppamento politico, è raro e si perde nel numero. In un Paese democratico, ma non solo, la maggioranza è culturalmente impreparata. Ciò fa sì che si voti più per emozioni che per ragione. Banalmente, poiché la massa è fatta di persone non avviate sulla luce dell’intelligenza, ne risulta che la parte meno qualificata del Paese esprime un voto di maggioranza che porta al potere l’espressione di questa maggioranza. I risultati sono sotto agli occhi di tutti. Il potere, poi, si alimenta di se stesso ma non alimenta la collettività. In effetti, chi ha il potere, oltre a trarne per sé il massimo dei benefici, tende a privilegiare la parte che lo ha portato al potere per mantenerne il consenso. La minoranza politica ne è svantaggiata. Non sarebbe giusto, ma è così. E’ evidente, ed è anche comprensibile, che il potere si avvalga di persone ad esso vicine e che si crei una consorteria di devoti o di fedeli che formano una specie di massa impenetrabile agli altri. E’ altrettanto inevitabile che, gradualmente, il potere centrale si estrinsechi per li rami, fino alle amministrazioni periferiche, alle Asl, alle imprese in mano pubblica, alle banche, ai vari corpi sociali, là dove il potere trovi la sua naturale espansione, fino alla nomina di un usciere o di un infermiere o di un preside e che tenda a creare una separazione, non una spartizione, tra quelli che sono dei nostri e quelli che nostri non sono. Il sistema deborda, poi, a cascata, sulle Istituzioni, nella burocrazia, negli affari, nella vita quotidiana. La riprova è nella nostra legislazione, farraginosa, incerta, spesso equivoca ma tale da condizionare la nostra vita. Nel profluvio delle nostre leggi il sistema s’inceppa, crea continue scappatoie, alimenta corruzione e malcostume, compiacenze fra gli amici, inflessibili ritardi od ostacoli per i non amici. In questo modo, un Paese apparentemente democratico diventa un’oligarchia che, in funzione di una pretesa governabilità perenne, detta le regole per la sua sopravvivenza, regole vincolanti e spesso scomode, per tutti. La ricerca di un correttivo non è facile. Si dice spesso che il sistema dell’alternanza al potere costituisce un freno contro le degenerazioni di un sistema che in tal modo si è evoluto. L’alternanza serve, in realtà, a riprodurre lo stesso fenomeno in favore di una nuova maggioranza. Lo spoil system adottato in taluni Paesi è la realizzazione concreta di questo passaggio di poteri, ma non risolve il problema della differente valutazione dell’interesse del gruppo dominante rispetto agli interessi, in genere, del Paese. Almeno teoricamente, la rappresentanza politica dovrebbe essere impegnata nella tutela degli interessi della comunità nel suo insieme. La presenza di altri gruppi di potere, in genere economici ma anche religiosi o corporativi, peraltro, se può rappresentare un’alternativa al potere politico, più spesso si adatta alle nuove situazioni cercando non solo di evitare danni ma anche d’influire su di esso. Il corpo sociale, infatti, non è composto solo di elettori. Questa è soltanto
2
apparenza. In realtà, esso è come un fiume nel quale affluiscono altri fiumi, più o meno importanti, che ne ingrossano il percorso. Non tutti questi poteri sono evidenti ma il loro condizionamento è molto forte. In altre parole, il sistema politico è espressione di una maggioranza di elettori, in genere disinformati, che si regge sul concorso, palese od occulto, di altre componenti sociali che prescindono dall’elettorato e che si muovono solo in funzione dei propri interessi. Spesso si crea un conflitto strisciante fra il comune sentire ed il politico agire. Potrei citare alcuni casi fra loro molto diversi: a – nella materia fiscale non si possono detrarre dalla dichiarazione dei redditi le imposte già pagate ad altro titolo ad amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato centrale. In altre parole, si paga su di un reddito al lordo di imposte già pagate; b – nella materia penale, la rieducazione del condannato, a prescindere dai suoi possibili effetti positivi, genera una profonda insoddisfazione nell’opinione pubblica perché non altrettanta cura è prevista per la parte lesa (assistenza psicologica e, perché no, anche economica) alle vittime del reato; c – la prevalenza del principio della difesa della proprietà rispetto a quella della persona porta al paradosso che l’autodifesa, praticamente, non è ammissibile, se non con gravi rischi; d – la priorità accordata all’accoglimento ed all’assistenza degli immigranti porta al paradosso che si stanziano a tali fini 4,5 miliardi di euro mentre nel Paese 11,5 milioni di persone sono al di sotto della sussistenza e nessuno stanziamento, proporzionalmente equivalente è previsto per loro.. In sostanza, il cittadino diventa vittima di un sistema che ha contribuito a creare, un sistema che nella sua applicazione pratica tende a prescindere dal comune buon senso. Ciò non solo determina irritazione ed impotenza, ma un distacco crescente fra colui che governa e coloro che sono governati. Non ci si deve stupire, perciò, se un sottile filo di rivolta serpeggia tra la gente e talvolta possa sfociare in movimenti, scioccamente definiti come populisti, contestatori del sistema esistente. Il malessere sociale trae origine da queste dissociazioni della politica dalla vita reale. La risposta populista non è certamente risolutiva e potrebbe, a sua volta, generare analoghi comportamenti contraddittori. Tuttavia, l’idea di un cambiamento dà sempre l’impressione, se non altro, di un mutamento non solo degli uomini ma altresì dei comportamenti. Questa è la nostra grande illusione in un momento storico di transizione così travagliato.