Si discute di infrastrutture. Un Paese moderno ha necessità di dotarsi di infrastrutture adeguate al suo sviluppo C’è chi le vuole e chi no, spesso adducendo considerazioni importanti, soprattutto di natura ambientale.
La difesa del paesaggio, della terra, dell’ambiente, ormai, sono valori fondamentali nella nostra società civile. Tuttavia, queste giuste preoccupazioni spesso finiscono per generare altrettante mostruosità.
Ad esempio, in tema di energie alternative, l’ambientalismo ha portato altri problemi di deturpazione del territorio. Basti pensare alla selva di torri eoliche che sconcia il Molise od all’impressionante sistema di specchi solari nel Piceno, per rendersi conto che da un eccesso si è passati ad un altro. Talune preoccupazioni sono solo pretestuose e rispondono ad altre esigenze di natura locale o mafiosa.
Sostenere, ad esempio, che la TAP, il gasdotto che dovrebbe arrivare in Puglia dall’Azerbaijan e contribuire al nostro fabbisogno energetico, rischia di mettere in crisi l’intera regione, oltre ai 400 ulivi da spostare e poi da riportare in situ, è semplicemente idiota. L’Italia da più di mezzo secolo è solcata da condotte di gas e di petrolio. Perché dovrebbero esserci ipotetici problemi in Puglia?
Tanta preoccupazione “territoriale” per poche decine di chilometri di condotta interrati a 2/3 metri di profondità, a fronte delle centinai di km attraversati con le condotte sottomarine nel Mediterraneo?
Altro esempio è la dibattuta questione della TAV, (la ferrovia Lione-Torino) che si trascina da più di un decennio. Questa decisione fu presa dal Governo italiano e dall’Unione europea nel quadro di un sistema logistico ad alta velocità per tutta l’Europa. Abbiamo già speso miliardi. Ridiscutere la questione perché un centinaio di valligiani sostiene che è un’opera inutile, è demenziale.
Le ragioni economiche addotte (di quelle psudo-ambientali non è neppure il caso di parlarne), e cioè che questa opera non sarebbe giustificata dal volume del traffico esistente, sono risibili. Se non c’è la ferrovia non c’è il trasporto e, quindi, non c’è volume di traffico.
Ogni opera infrastrutturale modifica gli interessi della gente. Basterà pensare all’annosa questione del Ponte sullo Stretto, che di tanto in tanto riaffiora, come il mostro di Lochness. Mafia e traghettatori sono contro.
Nel mondo si collegano Danimarca e Svezia, si costruiscono grattacieli in Cina in tre mesi, da noi si fanno solo montagne di chiacchiere e d’inutili carte. Ora che la Salerno-Reggio Calabria sembra finalmente completata, la scusa che non ci sono i collegamenti stradali non regge più.
Arriviamo alle strade. Sicilia e Sardegna e, in parte, Calabria, hanno un sistema stradale da terzo mondo. L’intasamento sulle autostrade, specie nei periodi di punta, è enorme. Gli incidenti si contano a migliaia. Le strade sono insicure ed insufficienti per il traffico che dovrebbero sostenere. Gli ultimi gravissimi incidenti di Borgo Panigale, a Bologna, e in provincia di Foggia, dovrebbe far riflettere.
Sei milioni di Tir di cui quattro registrati in Italia, sono in circolazione sulle nostre strade. I trasporti eccezionali portano di tutto, compresi materiali nucleari, esplosivi, inquinanti. Forse c’è qualcosa che non va.
Un container di cravatte che arriva dalla Cina, destinato in Italia, prima va a Rotterdam oppure ad Amburgo, poi viene caricato su un Tir e spedito in Italia. Se l’Italia fosse la Svizzera, si capirebbe, ma l’Italia ha migliaia di km di costa, è immersa in un mare navigabile, non solo per i clandestini o per le navi da crociera. Perché il container non arriva direttamente in Italia?
Le nostre esportazioni vanno su Tir o per ferrovia fino ai porti del Nord e di lì sono imbarcate per le loro varie destinazioni. E’ una cosa priva di senso comune.
La risposta a questa situazione è semplice: perché non ci sono porti adeguati. Nessuno se ne preoccupa. Il nostro mare è vuoto.
Quando si decise di preferenziare il trasporto su gomma si fece un regalo alla Fiat di allora e si costruirono le autostrade. Oggi, questa scelta la paghiamo cara in termini di sicurezza delle persone e delle cose, con inquinamento, intasamento e incidenti mortali gravissimi. Questo sì che è un problema ambientale, oltre che economico!
Qualcuno ricorda la storia di Lamezia Terme? A cavallo tra la prima e la seconda Repubblica, l’allora Efim, a partecipazione statale, aveva campi fiorenti coltivati ad aranceti. Quando venne la follia del 6° Centro siderurgico, si estirpò tutto per fare l’impianto. Poi, i lavori furono interrotti per la crisi mondiale della siderurgia e si smantellò a caro prezzo lo smantellabile, con sovvenzioni comunitarie che dovevano servire per fare, invece, un grande porto adatto ai tempi futuri. Fu fatto, sbagliando e spendendo altri miliardi a beneficio delle cosche locali. Oggi, ci galleggiano le cozze.
Da noi, la parola cabotaggio è quasi sconosciuta. I trasporti via mare sono pressoché ignorati e, d’altronde, decenni d’impotenza creativa non hanno permesso la costruzione di infrastrutture portuali adeguate. E pensare che il nostro Paese è una specie di molo in mezzo al mare! Ma ha senso ricevere le merci da Amburgo, da Lubecca o da Rotterdam, perché le navi mercantili moderne, a grande pescaggio non possono attraccare da noi?
Del mare se ne parla solo d’estate, ma del traffico marittimo mai. Non c’è mai stata una politica portuale volta a fare dell’Italia l’approdo naturale dei traffici marittimi internazionali verso l’Europa. Accade proprio l’inverso.
Quanto perdiamo, per questa inerzia concettuale, in termini di lavoro, di noli, di costi, di ricavi, di occupazione e d’importanza strategica?
I mass media ci dicono che in seno al Governo ci sono contrasti per decidere se fare la Tap o disfare la Tav. Sembra un gioco di bussolotti. Ma non si parla né di porti né di traffico marittimo, che ne sarebbe la conseguenza. Forse, non ci pensa nessuno, i più maliziosi potrebbero pensare che non si vogliano disturbare gli interessi tedeschi ed olandesi. Possibile che ci sia sempre una mafia, sullo sfondo, quando si tratta d’innovare, oppure è semplice incapacità di pensare?