15/07/2019
Il lato oscuro delle più rinomate DOP e IGP italiane ed europee – dalle carni ai prosciutti, latticini e formaggi – si trova in Amazzonia. Deforestazioni, agricoltura intensiva, rapina delle terre e omicidi. In nome del risparmio sui mangimi dei nostri animali da reddito, soia OGM. Con buona pace alle chiacchiere su filiere tradizionali radicate sui territori. È ora di aprire gli occhi e pretendere il cambiamento. #Iovotocolportafoglio
Deforestazioni, agricoltura intensiva e omicidi in Amazzonia
Lo studio ‘The Expansion of the Economic Frontier and the Diffusion of Violence in the Amazon’ identifica con chiarezza la spiccata occorrenza di omicidi in Amazzonia nel c.d. ‘arco della deforestazione’. (1) I rapinatori di terre scacciano le popolazioni indigene e le comunità locali che vi sono vissute per generazioni. Occupano illegalmente vaste aree di foresta pluviale, di proprietà pubblica, in attesa di ricevere titoli di terra. Abbattono gli alberi per rivendere il legname, incendiano gli arbusti e quant’altro vi residui. Le enormi distese vengono poi destinate al pascolo del bestiame e alle monocolture meccanizzate di soia OGM, destinata alla zootecnia planetaria.
Rapine delle terre e deforestazioni sono i moventi principali degli omicidi su larga scala, a servizio dei colossi globali di produzione e commercio delle commodities agricole. Soia anzitutto, in misura inferiore anche mais, cotone e riso. Le crescenti dispute sulla terra sono infatti innescate dai grandi agricoltori, i quali si avvalgono di milizie private per la ‘sorveglianza’ e la ‘sicurezza’. Per impedire cioè che i disperati ‘sem terra’ possano occupare fazzoletti di suolo e rivendicarne il possesso. L’avanzare della deforestazione si traduce dunque, secondo i dati raccolti dai ricercatori, in uno spiccato incremento di omicidi e conflitti. Proprio perché grazie alla deforestazione è possibile ottenere diritti di proprietà sulle aree coltivabili, privando definitivamente di ogni diritto coloro che in precedenza vi erano vissuti.
Popolazioni indigene e comunità locali, i custodi dell’ecosistema
Il rapporto ‘Global Assessment on Biodiversity and Ecosystem Services’ – adottato da IPBES (‘the Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services’) il 31.5.19 – evidenzia il ruolo di popolazioni indigene e comunità locali, quali custodi di ecosistema e biodiversità. (2) Popolazioni indigene e comunità locali tuttora gestiscono con metodi tradizionali circa un quarto della superficie terrestre del pianeta. Contadini, pescatori, pastori, cacciatori, allevatori e utenti forestali gestiscono aree significative sotto vari regimi di proprietà e accesso.
‘La natura generalmente diminuisce meno rapidamente nella terra delle popolazioni indigene che in altre terre, ma cionondimeno diminuisce, così come la conoscenza di come gestirla.’ (3)
Le aree gestite dalle popolazioni indigene e delle comunità locali sono però sottoposte alla crescente pressione antropica di operatori esterni. Le pretese di estrazione di risorse naturali, la produzione di derrate, le infrastrutture energetiche e di trasporto hanno grave impatto sull’ecosistema, i mezzi di sussistenza e la salute delle popolazioni locali. Deforestazioni, perdita di zone umide, estrazione mineraria, agricoltura e allevamenti intensivi, pesca illegale e sregolata (Illegal, Unreported and Unregulated Fishing, IUU). Gli stessi programmi di mitigazione dei cambiamenti climatici – uno su tutti, la produzione di ‘biocombustibili’ – hanno contribuito alle devastazioni in atto. Causando altresì inquinamento dei suoli e delle acque, mediante impiego massiccio di pesticidi e altri agrotossici.
Il neocolonialismo pilotato dalle Corporation stravolge i sistemi tradizionali di gestione delle risorse e con essi la trasmissione di conoscenze che vanno a perdersi irrimediabilmente. Nonché i benefici che derivano dall’interazione sostenibile con l’ecosistema. Questo processo è favorito dalla scarsità della governance, politica e amministrativa, che caratterizza i Paesi a basso e medio reddito (LMIC, Low-Middle Income Countries). Trionfa così la globalizzazione dello sfruttamento di natura e popoli, talora mascherata da ‘cooperazione internazionale’ e sostegno alle economie locali. Nel disinteresse dei cittadini-elettori dei Paesi ‘sviluppati’, e così dei loro rappresentanti politici.
Amazzonia, l’era Bolsonaro
La più grande foresta tropicale del pianeta viene cancellata dalle mappe. I conflitti sul possesso della terra, l’uso predatorio delle risorse naturali, la schiavitù in agricoltura e la segregazione urbana caratterizzano la violenza nell’Amazzonia brasiliana già dai primi anni ‘70, con accelerazione a partire dalla metà degli anni ‘90. Un nuovo exploit tuttavia si registra proprio ora, sotto la presidenza di Jair Bolsonaro. La soia ambisce così a superare il palma nel primato globale di rapina delle terre (land grabbing) e deforestazioni.
La deforestazione è quasi raddoppiata (+88%), a giugno 2019, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Con una perdita di 920 chilometri quadrati di copertura forestale, secondo le rilevazioni provvisorie dell’Agenzia spaziale brasiliana. Altri 21 mila km2 di foreste verranno ora ceduti dallo Stato del Pará, esteso il doppio della Francia, ai grandi predoni delle terre. (4) E chi prova ad opporsi viene ucciso, compresi i capofila dei movimenti civili come da ultimo Dilma Ferreira Silva, trucidata assieme al marito e a un loro collaboratore il 22.3.19.
Nello Stato del Pará, la legge appena adottata dal governatore Helder Barbalho rimuove i requisiti minimi necessari per rivendicare le richieste di proprietà. Prima dell’entrata in vigore di questa legge le richieste di concessione di terreni pubblici erano condizionate alla dimostrazione che i richiedenti vivessero effettivamente lì. Eliminare tale requisito significa consentire ai gruppi criminali di insediarsi con violenza nei territori con l’obiettivo di vendere i titoli di possesso ai grandi proprietari terrieri.
La Procura federale di Brasilia – in una nota purtroppo priva di efficacia formale – ha segnalato che la legge del Pará ‘viola i principi costituzionali di uguaglianza, la funzione sociale della proprietà e il rispetto per l’ambiente’. Evidenziando come il parlamento locale abbia proceduto alla sua approvazione senza un adeguato dibattito pubblico. Un gruppo di oltre 50 organizzazioni, tra cui Greenpeace Brazil, ha a sua volta denunciato come questa legge consenta ai criminali di appropriarsi dei terreni pubblici con maggiore facilità. (5)
Fuoco e sangue nelle DOP e IGP italiane ed europee. È ora di cambiare
L’accordo di libero scambio definito il 28.6.19 tra Unione Europea e Mercosur comporterà l’importazione esentasse di enormi quantitativi di carni (259 mila ton/anno) da animali pascolati a spese della foresta pluviale brasiliana. Ciò soltanto dovrebbe indurci a pretendere con incisività l’introduzione in Europa di appositi obblighi, tesi a garantire al consumatore un’informazione trasparente:
– in etichetta, su origine e provenienza delle carni utilizzate come ingredienti di altri alimenti (es. preparazioni e prodotti a base di carne, carni lavorate, piatti pronti, sughi),
– sui menù di ristoranti, mense, catering, origine obbligatoria delle carni.
Il problema più grave è tuttavia rappresentato da soia e mais OGM utilizzati nel Vecchio continente per alimentare gli animali da cui derivano anche i più celebri prodotti della tradizione europea. Anche i sigilli delle nostre DOP e IGP nascondono infatti sia l’origine e la provenienza, sia la natura geneticamente modificata dei mangimi utilizzati. Tra vecchi e nuovi OGM, spesso neppure identificati né tracciati in quanto tali, si consuma la vita delle popolazioni e dell’ecosistema. In violazione di ogni accordo internazionale sui diritti umani fondamentali e l’ambiente. Per realizzare merci poi falsamente presentate come ‘tipiche’ di territori e tradizioni.
La questione non è dunque ‘nutrire il pianeta’ ma come vogliamo farlo. I consumAttori vengono di fatto privati del diritto di conoscere l’effettiva sostenibilità degli approvvigionamenti da cui derivano i cibi loro offerti a scaffale e serviti al ristorante. I quali spesso, come si è visto, derivano da deforestazioni e omicidi. Le eccezioni si contano sulle dita di una mano. La prima è rappresentata dai prodotti biologici, ove non sono ammessi mangimi OGM (6). La seconda consiste nei prodotti di origine animale derivati da filiere che non utilizzano mangimi OGM, come avviene ad esempio sui prodotti a marchio di Coop Italia. (7) La terza riguarda filiere di cui venga tracciata la provenienza dei mangimi e delle loro materie prime, magari anche con tecnologie innovative e trasparenti come la blockchain pubblica. La quarta, ancora residuale purtroppo, è la definizione di appositi requisiti nei disciplinari di produzione. (8)
Carni e prosciutti, latte e formaggi da animali nutriti con soia OGM d’Oltreoceano? Nessuna garanzia? No grazie, #iovotocolportafoglio.
#Égalité!