24/06/2019
La scoperta dell’acqua calda con aroma di caffè in capsule, il business del secolo. Profitti da capogiro, costi ambientali e rischi per la salute esternalizzati sulla collettività. Ai consumAttori, alcuni spunti su cui riflettere.
Caffè in capsula, i dati di mercato
Un terzo del mercato del caffè in Europa occidentale – in valore, su un totale di circa 18 miliardi di euro – è rappresentato da capsule e cialde. Il segmento continua a crescere a ritmo spedito (+9% l’anno, la media 2011-2017), in un settore viceversa stabile (+1,6%, nello stesso periodo). (1) In Italia nel solo 2018 la crescita del segmento capsule è stata 10 volte superiore a quella del macinato, +14,6% vs. +1,4%. (2)
A livello globale, si preconizza il raddoppio delle vendite nel periodo 2017-2025, da 15,23 a 29,2 miliardi miliardi di US$. (3) Le coffee capsules continuano a fare scuola, poiché la crescita di fatturato si accompagna a margini operativi superiori al 50%. (4) Non a caso il gruppo Nestlé – leader mondiale nell’industria alimentare – ha concentrato la gran parte degli investimenti proprio su Nespresso. Che a sua volta, ça va sans dir, domina la scena.
Tutto bene? Le industrie di torrefazione e i vari canali di distribuzione macinano profitti, ma il greenwashingche inonda i loro manuali di CSR (Corporate Social Responsibility) non potrà mai compensare l’insostenibile impatto di questo modello di consumo su ambiente e salute.
Capsule, quale impatto ambientale?
Inserire il bossolo d’alluminio colorato e premere il pulsante. Il gingillo elettrico spara il liquido, caldo ma non troppo. Lo chiamano ‘caffè espresso’, si trova dappertutto è impossibile sbagliare. Bisogna solo spendere, più costa il bossolo, più aumenta il punteggio. Un piccolo lusso borghese sempre più immancabile, ‘buono quasi come al bar’ nella retorica dei suoi adepti. I quali infatti ormai raffrontano gli esosi costi della ‘monodose’ con quelli dell’espresso al banco, anziché con il caffè macinato in confezioni da 250 o 500 g.
Centinaia di milioni di consumatori ogni giorno in tutto il mondo inseriscono una capsula usa-e-getta in un piccolo elettrodomestico, per poi destinare decine di migliaia di tonnellate di rispettivi imballaggi – non riutilizzabili – a discariche e inceneritori. Alcuni colossi fanno vanto di utilizzare alluminio ‘riciclabile’, senza peraltro garantire che i contenitori vengano effettivamente destinati al riciclo (come si dovrebbe fare, introducendo obblighi di deposito-cauzione). Né spiegare che il riutilizzo del metallo comporta ulteriori sprechi di risorse ed emissioni, poiché i ‘bossoli’ usati devono venire trasportati, sminuzzati, lavati con acqua per eliminare il caffè, bruciati per eliminare la vernice, prima che l’alluminio possa venire fuso. Altri utilizzanocapsule in bioplastiche e materiali compostabili, con la promessa di mitigare l’impatto ambientale del fenomeno. Salvo comunque intralciare la produzione di compost nella sua fase finale di setacciatura.
Il Life-Cycle Assessment delle coffee capsules è inevitabilmente disastroso. I materiali più utilizzati per produrre i contenitori monodose, non riutilizzabili, derivano da fonti non rinnovabili. Alluminio, polietilene (PE) e polietilentereftalato (PET), cioè minerali, petrolio e materiali inquinanti. Produrre i materiali e i contenitori, quand’anche derivati da biopolimeri, ha un costo energetico significativo e comporta emissioni di CO2 altrettanto rilevanti. L’ambiente deve poi farsi carico dei costi degli imballi secondari, i lussuosi astucci delle ampie collezioni di miscele ‘personalizzate’. E così cartoncini, inchiostri, energia ed emissioni, smaltimento. Dulcis in fundo i trasporti di leggeri quanto voluminosi imballi.
Rifiuti, obiettivi e misure di prevenzione
Ridurre la produzione e consumo di ciò che non è strettamente indispensabile è il primo imperativo di economia circolare e sviluppo sostenibile. La direttiva ‘sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio’ – oggetto di recente riforma, nel 2018, con il ‘pacchetto economia circolare’ – prescrive quanto segue.
‘Gli Stati membri provvedono a che […] siano attuate altre misure di prevenzione atte a prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio e a ridurre al minimo l’impatto ambientale degli imballaggi. Tali altre misure preventive possono consistere in programmi nazionali, in incentivi forniti attraverso regimi di responsabilità estesa del produttore intesi a ridurre al minimo l’impatto ambientale dell’imballaggio o in azioni analoghe adottate, se del caso, sentiti gli operatori economici, le organizzazioni ambientaliste e i consumatori, e volte a raggruppare e sfruttare le molteplici iniziative prese sul territorio degli Stati membri nel settore della prevenzione’. (5)
Riutilizzare è il secondo diktat. La progettazione di processi, flussi e prodotti deve anzitutto evitare il non necessario e ridurre al minimo l’indispensabile. Il passaggio successivo, nella logica di economia circolare, è la progettazione degli oggetti con la logica di favorirne il riutilizzo.
‘Conformemente alla gerarchia dei rifiuti stabilita all’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE, gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare l’aumento della percentuale di imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato, nonché dei sistemi per il riutilizzo degli imballaggi in modo ecologicamente corretto e nel rispetto del trattato, senza compromettere l’igiene degli alimenti né la sicurezza dei consumatori. Queste misure possono includere, tra l’altro:
a) l’utilizzo di sistemi di restituzione con cauzione;
b) la fissazione di obiettivi qualitativi o quantitativi;
c) l’impiego di incentivi economici;
d) la fissazione di una percentuale minima di imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato ogni anno per ciascun flusso di imballaggi’. (6)
Il legislatore europeo, nell’invocare concetti aulici come la ‘bio-economia sostenibile’, si è guardato bene dal prescrivere agli Stati membri misure specifiche e obiettivi vincolanti sui due cardini della gerarchia dei rifiuti, riduzione e riutilizzo. Business is Business, e la politica attuale persegue le sue priorità in antitesi al bene comune. La direttiva citata lascia così carta bianca agli Stati membri, limitandosi a definire gli obiettivi di riciclaggio dei materiali (plastica, legno, materiali ferrosi, alluminio, carta e cartone).
Caffé, innovazione ecologica?
L’innovazione ecologica sulle capsule di caffè è guidata da alcune grandi industrie italiane di torrefazione. Vergnano è stata la prima a realizzare una capsula compostabile, che può venire smaltita nella frazione organica dei rifiuti senza venire separata dal caffè. Lavazza, leader italiano di mercato, ha poi sviluppato insieme a Novamont la capsula in bioplastica MaterBi, biodegradabile e compostabile. L’università di Tor Vergata a Roma ha a sua volta realizzato un nuovo sistema che utilizza il PLA (acido polilattico, realizzato mediante fermentazione di materie prime zuccherine).
Tale approccio è senza dubbio apprezzabile, poiché evita di consumare bauxite (materia prima di base dell’alluminio) e/o petrolio e idrocarburi. Nondimeno, come si è visto, le capsule riciclabili mancano gli obiettivi primari di riduzione e riutilizzo dei materiali d’imballaggio. Oltre a gravare sugli impianti di riciclaggio in misura ben superiore all’umido e alla carta con cui sono invece realizzate le cialde di caffé, le quali pure posso confluire nell’umido. Ai consumAttori, ancora una volta, la responsabilità di una scelta quotidiana. Avendo ben chiaro che per l’ambiente il ‘modello George Clooney’ è il più gravoso, la moka e l’espresso vero sono i favoriti, la cialda in the middle between.
Capsule di caffè e rischi per la salute
Il consumo di caffè in capsule, infine ma non da ultimo, presenta alcuni rischi per la salute. A causa della presenza di una famiglia di composti organici cancerogeni e genotossici – furani e metilfurani – in quantità fino a 10 volte superiori rispetto al caffè macinato. (7) A ciò contribuiscono temperature e tempi di tostatura, nonché la chiusura ermetica nei contenitori che impedisce la dispersione di tali sostanze, altamente volatili. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha confermato il pericolo di danni al fegato, sul lungo termine, associato all’esposizione a tali sostanze. (8) L’EFSA non ha potuto stabilire una dose giornaliera tollerabile, non potendo escludere che il tumore insorga a causa di un’interazione diretta dei furani con il DNA.
‘Come il comitato di esperti congiunto FAO / OMS sugli additivi alimentari (JECFA), abbiamo concluso che il livello di esposizione al furano nei prodotti alimentari indica un problema di salute umana’ (Dr. Helle Knutsen, Presidente del Panel di esperti sui Contaminanti nella filiera alimentare, 25.10.17). (9)
La Commissione europea guidata da Jean Claude Juncker – con regolamento UE 2017/2158 entrato in vigore l’11.4.18 – si è limitata a stabilire ‘misure di attenuazione’ e ‘livelli di riferimento’. Senza neppure distinguere il caffè in capsule rispetto a quello macinato, nel campo di applicazione e così nei monitoraggi da eseguire. (10) È questo il potere delle lobby di Big Food a Bruxelles, POP (Profit Over People). Ancora una volta misure blande, prive di misure vincolanti sui livelli di contaminazione inaccettabili, in relazione a sostanze genotossiche e cancerogene. Nel caso dei furani, come in quelli dell’acrilammide e degli oli minerali negli alimenti. (11)
È tutto così semplice, anzi POP! Ma ne vale davvero la pena?
Dario Dongo
Note
(1) Rabobank (2018). How Coffee Will Look Different in Ten Years, https://research.rabobank.com/far/en/sectors/beverages/How_Coffee_Will_Look_Different_in_Ten_Years.html
(2) GDO News, 29.11.18, Capsule caffè: un mercato da giganti, chi non ha forza finanziaria è destinato a sparire. Ultimi dati di mercato
(3) Fiormarkets (2019). Global Coffee Pod and Capsule Market by Product Type (Coffee Capsules, Coffee Pods), Application Type (Coffee Beans, Coffee Powder), Material (Conventional Plastic, Others), Region Global Industry Analysis, Market Size, Share, Growth, Trends, and Forecast 2018 to 2025, https://www.fiormarkets.com/report-detail/375940/request-sample
(4) Nestlé mantiene riserbo sui propri margini lordi in questa business unit. 85% circa, secondo lo studio del prof. Frank Matzler (2013) Business model innovation: coffee triumphs for Nespresso. Journal of Business Strategy, Vol. 34 No. 2 2013, pp. 30-37, Q Emerald Group Publishing Limited, ISSN 0275-6668 doi: 10.1108/02756661311310431
50% circa, ad avviso di uno studente del Digital Innovation and Transfrmation Course, Harvard Business School. Rpark submission (2018). Brewing a Successful Future at Nespresso?, https://digit.hbs.org/submission/brewing-a-successful-future-at-nespresso/
(5) Cfr. dir. UE 2018/852 ‘del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio’, nuovo articolo 4.1
(6) V. dir. UE 2018/852, nuovo articolo 5 – Riutilizzo
(7) M. S. Altaki et al. (2011). Occurrence of furan in coffee from Spanish market: Contribution of brewing and roasting. Food Chemistry Vol 126, Issue 4, 15 June 2011, Pages 1527-1532. https://doi.org/10.1016/j.foodchem.2010.11.134
(8) EFSA, Contaminants Panel. (2017) Risks for public health related to the presence of furan and methylfurans in food. EFSA Journal 25 ottobre 2017 doi: 10.2903/j.efsa.2017.5005
(9) EFSA, comunicato stampa 25.10.17, https://www.efsa.europa.eu/en/press/news/171025
(10) Cfr. reg. UE 2017/2158 ‘che istituisce misure di attenuazione e livelli di riferimento la riduzione di acrilammide negli alimenti’, articolo 1, comma 2, lettere ‘f’ e ‘g’
(11) Ancor peggiore è la dolosa omissione di alcuna misura per tutelare i consumatori europei – e i bambini in particolare – rispetto ai gravi rischi legati all’apporto di contaminanti di processo, altresì genotossici e cancerogeni, che l’olio di palma raffinato contiene in quantità 6-10 volte superiore rispetto ad altri oli vegetali raffinati. Non è questa l’Europa che vogliamo! Si veda il precedente articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/idee/palma-leaks-grande-puzza-di-bruciato-anche-a-bruxelles