La crisi continua e la gente è inferocita. Non capisce le sottigliezze della politica, ma s’infiamma quando qualcuno ci definisce scrocconi, inaffidabili, mafiosi o parassiti, specie se il commento viene d’oltralpe. Una specie di ventata nazionalistica e di sparuto orgoglio nazionale pervade il Paese. Meglio tardi che mai.
Il Quirinale costa molto più della Corte d’Inghilterra, il Presidente della nostra Corte costituzionale cinque volte di più del suo omologo tedesco. Campiamo alla grande sui debiti dai tempi felici di Craxi.
Dire: campiamo è molto generoso. In realtà, campano gli altri: la nostra classe politica, l’establishment del Paese, cantanti e calciatori, annunciatori televisivi, deputati e senatori, finanzieri ambigui e mignotte. Campano tutti sulle spalle degli altri, le nostre, e l’insieme del Paese campa sui soldi degli altri, i Paesi nostri creditori. Questa è una pesante palla al piede di tutti, anche se noi c’entriamo solo per la stolidità con la quale abbiamo votato i nostri politici.
La questione del debito pubblico è un affare serio, cresce proporzionalmente al disordine politico, all’incertezza e all’incapacità dei governanti.
Acutamente un giornalista, Riccardo Barlaam, ha ricordato su il Sole24Ore che la Germania, nel 1° e nel 2° dopoguerra, aveva un debito enorme, nel 1923, che in pratica in parte le fu rimesso e in parte non pagò, e nel 1945 (23 miliardi di dollari). Allora, tutti dimezzammo il debito, anche l’Italia, che era almeno altrettanto dissestata e anche per colpa della Germania. Molti vi rinunciarono e rifiorì la Germania. Però, si trattava di debiti di guerra, con le distruzioni immani che aveva provocato.
Berlino, poi, fu ulteriormente aiutata da tutti con le zonengenderbiet, al confine con la Germania Orientale di allora (in concorrenza con il nostro Mezzogiorno) e, subito dopo la caduta del muro, per agevolare la riunificazione tedesca. Quindi, se c’è qualcuno che dovrebbe tacere, è proprio Berlino.
Noi, invece, non abbiamo fatto nessuna guerra in quest’ultimo mezzo secolo. Semplicemente, abbiamo scialato, buttando i soldi altrui dalla finestra.
Probabilmente, ora, siamo arrivati al redde rationem.
Da più di tre mesi siamo senza governo. In realtà, la cosa non fa male a nessuno. Meno governano meglio è, visti i risultati. Siamo arrivati al punto che Gentiloni è considerato il miglior statista dell’ultimo decennio.
Fatte le elezioni, non ha vinto nessuno ma, soprattutto, hanno perso i partiti “storici”. La maggioranza relativa l’aveva il centro-destra. La logica avrebbe voluto che un incarico, almeno esplorativo, le fosse affidato. No, perché secondo Mattarella, non c’erano i numeri, in partenza, per avere la fiducia. Fuori uno.
L’accoppiata Lega-5Stelle, invece, i numeri ce l’aveva. Però aveva un outsider della politica, Conte e, soprattutto, uno dei Ministri non era gradito a Mattarella. Fuori due.
Ora l’incarico è affidato a un altro parvenu della politica, Cottarelli, l’uomo della spending review sbalzato via da Renzi, perché troppo pericoloso. Un incarico “tecnico”, si dice, come se questo salvasse tutto. Va benissimo, perché ci sono alcune scadenze importanti da rispettare. Quindi: nuovi Ministri, nuovi Sottosegretari, nuovi Capi di Gabinetto: facce vecchie facce nuove. Però, è un governo che non vuole nessuno. Al Parlamento non avrà la fiducia, se non da parte del PD e di Liberi e Uguali, perché tanto, nelle condizioni in cui sono, non hanno null’altro da dire. Quindi, è molto probabile che sarà sfiduciato anche lui. Fuori tre.
Tanto valeva riconfermare Gentiloni fino alle prossime elezioni, evitando altri incarichi. Occorre dire che Mattarella ha la mano pesante: non gliene riesce una buona.
Si andrà alle lezioni con schieramenti molto diversi e contrapposti. L’obiettivo è quello della restaurazione del sistema per alcuni, o del sorpasso per altri. Purtroppo, però, lo scontro elettorale sarà sull’Europa. Dico purtroppo perché, per ragioni spiegate più volte, il problema politico non è se uscire o meno dall’Unione, il che è impensabile, o dall’euro, decisione complessa e dagli effetti catastrofici sulla nostra economia, già dissestata. Il problema è affrontare con i nostri partners il tema di una graduale revisione di alcuni principii che allora, quando furono adottati, andavano bene ed oggi non più.
Per far questo ci vuole gente capace con orientamenti precisi, tutto ciò che in questi decenni di beata acquiescenza non abbiamo avuto.
Il fatto che poi, in Germania o in Francia, ci dipingano come lazzaroni chiassosi e infidi lascia il tempo che trova. Sono chiacchiere. Macron l’altro ieri ha telefonato a Conte congratulandosi con lui e, il giorno dopo, a Mattarella, facendo lo stesso per le ragioni opposte. Sono buffoni. La realtà è che la situazione italiana preoccupa un po’ tutti. Non per amore della penisola, ma perché se il debitore sta male, il creditore trema.
I mercati finanziari sono dietro e tramano cercando nuove occasioni speculative. Sono sciacalli in attesa che finisca l’agonia. Questo è il vero pericolo.
Chiunque riuscirà a governare in modo serio, e cioè dopo le elezioni, dovrà fare i conti con le riforme che non sono mai state fatte. Le riforme costano denaro e consensi. Per questo è necessario un governo forte, non governi di transizione o balneari o tecnici o del Presidente. Governare significa assumere delle responsabilità in nome di tutti. Solo il Presidente della Repubblica è irresponsabile, e s’è visto.
Roma, 29 maggio 2018