Condivido una parte del pensiero di una mia amica virtuale di Facebook sulla questione delle foto del Carabiniere indagato per la morte di Stefano Cucchi.
“…….. Torno quindi sulla vicenda Ilaria Cucchi, perché a mio avviso è stata male interpretata da tutti.
Appena la Cucchi, sbagliando, ha pubblicato sulla sua pagina FB le foto del carabiniere sospettato di essere uno degli assassini del proprio fratello, i giornalisti e tutti coloro che non gradiscono vedere un servitore dello Stato essere imputato in un processo per avere ammazzato di botte un drogato, preso in custodia da chi in primis dovrebbe proteggere, hanno cominciato ad invocare la parola GARANTISMO per stigmatizzare il suo comportamento.
Non è facile essere garantisti, spesso si devono garantire diritti a persone che ti fanno schifo, persone che ti auguri di non incontrare mai nel corso della tua vita, ma ci sono regole che vanno rispettate, dal momento che ci permettono di vivere in una società piena di difetti, ma libera e democratica in cui ci si può difendere quando accusati di crimini che potremmo non avere commesso, o almeno così dovrebbe essere in teoria.
I meno garantisti in assoluto sono i giornalisti e spesso sono tali per interesse, interpretano e svolgono male il loro lavoro, enfatizzando notizie che raramente verificano, violano senza fare un plissé gli elementari diritti degli imputati, pubblicando foto della famiglia, stralci di conversazioni private spesso secretate, ottenute tramite il personale del tribunale, quando non dalla magistratura.
L’opinione pubblica è raramente garantista, in seguito ad un qualsiasi delitto la ggente sente la necessità fisica di trovare un colpevole, possibilmente di distruggerlo per sentirsi più al sicuro ed eliminare la minaccia.
La redenzione non è quasi mai contemplata.
In alcune culture tribali vale ancora il principio che la pena per gli imputati sia decisa dai parenti della vittima, coloro che hanno subito la perdita.
Ovviamente questa modalità è impensabile presso la società contemporanea, la legge deve essere razionale e giusta, non può essere determinata da chi soffre.
Tuttavia ci deve essere uno sguardo misericordioso verso queste persone che spesso, come nel caso Cucchi, si ritrovano a lottare sole contro tutti, per arrivare ad una scomoda verità.
Non si perdona nulla ad Ilaria Cucchi, nemmeno la candidatura con Ingroia, senza considerare che potesse avere pensato di raggranellare un po’ di visibilità e qualche soldo per la sua battaglia, probabilmente scegliendo il cavallo sbagliato.
Da lei, vittima, pretendiamo la perfezione, la stessa che non esigiamo da chi uccide, spesso con modalità molto discutibili un ladro che entri in casa.
Giustifichiamo chi uccide per difendersi, ma non concediamo il perdono quando Ilaria, infine, ha mollato il fairplay e si è concessa al rancore.
Ha sbagliato, certo, lo capiamo tutti, ma perché essere così rigidi?
Cosa avremmo fatto noi nei suoi panni? Io di certo non sarei stata calma così a lungo.
Ho letto frasi orrende, che avrebbero dovuto ammazzare di botte lei e non il fratello.
Siete uomini, avete una coscienza?
Io vedo solo vuoto.”
La ritengo una perfetta sintesi del problema, ma non solo quello di Cucchi, ma quello del giudizio a due, tre o quattro velocità a seconda degli interessi dei singoli.