Premetto che non sono un cattolico praticante e che i funerali mi irritano profondamente, soprattutto per la macro-ipocrisia che li percorre: fino a ieri ti sparlavo dietro, oggi che sei morto piango lacrime finte dietro la tua bara. Poi, non amo la voglia di molti sacerdoti di cercare di trasformare un momento di dolore, perché di questo si tratta, in una gioia di cui nessuno, forse nemmeno loro, capisce bene l’entità.
Detto ciò, senza polemica e senza voglia di discutere, il funerale è un rito di Santa Romana Chiesa, la quale è sovrana sui luoghi Santi e quindi può disporre di celebrare o non celebrare i funerali di chi ne chieda lo svolgimento.
Quindi, quando Piergiorgio Welby, malato terminale di SLA, si lasciò morire, le esequie in chiesa furono vietate perché, si disse, la morale cristiana impone di non ammettere nei luoghi sacri chi si sia macchiato di peccati come il suicidio. Posizione che non condivido, ma che accetto come dogma.
Al pari di questo, mi sembra di ricordare che anche chi si è macchiato di reati di vario genere, o appartiene a congregazioni di vario tipo non riconosciute dalla Chiesa, non dovrebbe essere ammesso alle funzioni religiose. Anche qui si piò non concordare, ma un dogma è un dogma.
Quindi, da laico, mi chiedo su quale base logica e dottrinale si siano svolti i funerali di Vittorio Casamonica (omicidio, spaccio, furto aggravato, violenza privata) e di Licio Gelli ( P2 può bastare), oltre al fatto di tollerare che un assassino riconosciuto tale dalla legge italiana sia sepolto in una Chiesa.
Perdono? Errore? Pentimento? Dimenticanza?